Ancora Giacobbe, ancora un’altra notte, un altro segno, anzi un sogno (Genesi 28,10-27). La scala di Giacobbe, episodio immortalato migliaia di volte da artisti, pittori (come Francesco Allori o William Blake), musicisti (di recente anche una bella interpretazione del brano folk Jacob’s Ladder). Colpisce la battuta finale di Giacobbe appena si risveglia: «Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo». Ebbe timore e disse: «Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo». L’incontro con Dio è sempre “terribile”, che suscita timore e tremore, ma è anche un fatto d’amore, meglio: di “riconoscimento di un amore”. Questo episodio con la battuta finale di Giacobbe è, secondo il biblista P.Beauchamp, il cuore, ciò che racchiude il cuore dell’Antico Testamento. L’amore funziona a ritroso: si vive e poi si diventa consapevoli dell’esperienza che si sta già vivendo. Quando ci si innamora funziona così, quando ci si converte alla fede è così: fede e amore coincidono. E’ la stessa dinamica dell’episodio di Emmaus: “non ci ardeva forte il cuore nel petto?” si chiedono Cleopa e il suo compagno di strada quando riconoscono Gesù che scompare davanti ai loro occhi. L’incontro con Gesù non è stato compreso a livello intellettuale ma ha lasciato il segno – un fuoco – nel cuore di chi ha vissuto l’esperienza. Il cristianesimo non è un fatto intellettuale, filosofico, ideologico, ma nasce dall’esperienza di un incontro, fisico, reale. “Ma se invece fosse tutto un sogno, come quello di Giacobbe?”. La domanda scaturisce spontanea dai ragazzi, che così riprendono la grande critica alla religione degli ultimi tre secoli. Si apre un orizzonte nuovo, critico, affascinante, ma la campanella arriva, inopportuna: per esplorarlo ci vorrà un’altra lezione, la prossima.

22 Gennaio 2016

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