Nella parabola del Figliol Prodigo abbiamo già visto, nelle scorse lezioni, come lo stupore della vicenda stia tutto nella sua paradossalità: il figlio minore è scappato di casa, ricevendo in anticipo l’intera eredità e considerando il padre come morto, dimenticato. Una volta andatosene questo sperpera tutto in vizi, capricci, fino a ritrovarsi in uno stato di totale mancanza di dignità. A quel punto decide quasi per assenza di alternative, per totale debolezza, di tornare indietro e chiedere scusa al padre, domandandogli un lavoro. Ma per il padre il figlio non è mai stato dimenticato, e non gli permette nemmeno di pronunciare il suo discorso di scuse, perché lo stava già aspettando sul davanzale della finestra per accoglierlo a braccia aperte. Sotto gli occhi increduli del figlio maggiore, che nel corso della sua vita si era sempre comportato eccellentemente, vengono offerti al figlio disperso, e poi tornato indietro, tutti i doni più pregiati: cibo, anelli d’oro, vestiti preziosi. Viene fatto persino uccidere il vitello più grasso. Ed è qui che sta la paradossalità della vicenda: il padre, a differenza di quello che ci si potrebbe aspettare, non ha mai smesso di amare il figlio, e perciò quello che lo attende non sarà un giudizio inflessibile e severo ma uno sguardo d’amore, misericordioso. Questo ci porta direttamente alla parabola successiva, quella della zizzania. Nella parabola il nemico semina l’erba cattiva, e quando i servi chiedono al padrone se devono toglierla si sentono rispondere di no, affinché non si sradichi insieme alla zizzania anche il grano buono. Il mistero più grande dell’uomo  è infatti la presenza del male, e il Vangelo ci chiede di essere seminatori di buon seme. Dobbiamo rifiutare la superficialità di chi ci offre una visione manichea della vita: il mistero dell’uomo nel quale convivono e si interfacciano bene e male è quello che i Vangeli ci chiedono di riconoscere nella sua interezza. Solo in questo modo possiamo donarci al Padre come peccatori, miseri e bisognosi di misericordia. Ed è come avviene anche nella parabola dei lavoratori della vigna, dove i servi si indignano. Scandalo e indignazione infatti sono i sentimenti che provano di fronte al padrone che paga allo stesso modo gli operai della prima e quelli dell’undicesima ora. Ma il Vangelo non è un libro di logiche contabili: il regno dei cieli ci chiede di andare a lavorare nella vigna del Signore, e di aprire pienamente il nostro cuore. Sarà la Sua bontà a ricompensare il nostro operato, e la nostra fede.

20 Maggio 2016

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