Cantautore, attore, autore, regista teatrale, un pellegrino di diverse forme artistiche: Simone Cristicchi. E’ partito dal fumetto, amato da ragazzino, con Jacovitti  che ha accompagnato come maestro la sua “prima forma di creatività ed espressione artistica”. Passato alla musica Rock, è approdato alla canzone d’autore, prediligendo l’ironia, come Rino Gaetano. Oggi è il teatro il suo habitat dove incontra l’altro.

  cristicchi01Non è mai banale, senza moralismi, è a suo modo “dissacrante” per tutti i “santuari”, anche quello dello Star System. Vorrei cantare come Biagio è il suo primo successo e quello che ne definisce lo stile, una canzone che “nasce in un momento di grande dramma interiore” perché non riusciva ad emergere nel mondo dello spettacolo. Preso dallo sconforto Cristicchi scrisse “questo ritornello così orecchiabile” che la sua casa discografica di allora decise dovesse diventare il singolo di lancio. Uno stile che si trova in altri pezzi come Meno male, simbolo della disinformazione e del fato che “per parlare d’altro servono dei personaggi come Carla Bruni, il gossip nasce per parlare d’altro ed evitare le questioni più importanti. Quella che Travaglio chiama la scomparsa dei fatti“.

Per avere successo non è facile, lo sapeva, ma non nega di essere stato fortunato. “Oggi è ancora più difficile. Io sono stato uno degli ultimi cantautori ad aggrapparmi al treno della discografia italiana, perché subito dopo di me sono nati i Talent Show, dove l’imbuto si fa sempre più stretto”

La sua leggerezza nelle canzoni, anche su temi importanti, potrebbe rischiare il cinismo: “Non mi reputo un cinico, mi piace prendere in giro me stesso e la realtà che mi circonda”. Leggero ma non superficiale, Simone Cristicchi è anche qualcuno che sa andare al profondo, “negli scantinati dell’anima, della storia e della memoria”. Questo è poi diventato il suo percorso attuale: “Mi reputo una sorta di antiquario, un restauratore di oggetti antichi e preziosi. Scendo nella profondità delle cose, cercando di spolverare e dare una mano di lucido e poi riportarle in superficie ed esporre questa bellezza a tutti gli altri”

cristicchi02Per questo la musica non era sufficiente e inizialmente ha deciso di dedicarsi al teatro-canzone, come quello di Gaber, per poi definitivamente innamorarsi del  “luogo sacro” del teatro, il suo “habitat perfetto” in cui è pienamente cantastatorie e può “scuotere le persone”. Da sempre attratto dai chiaro-scuri della società, è di questa parte di realtà che si fa “portavoce” facendo emergere temi come l’emarginazione sociale, soprattutto dei matti, ma anche pezzi di storia lasciati ai margini come la memoria delle Foibe. Senza paura e senza sconti per contrastare l’ideologia e costruire memoria condivisa. “Quando si racconta un dolore non deve avere un colore politico”

Raccoglie le storie da grandi anziani, come la poetessa Alda Merini, ma anche da persone semplici come gli anziani degli ospizi e da superstiti di episodi che la Storia vuole dimenticare. Il suo ultimo “racconto”, in un libro, al museo e in teatro, riguarda  Il secondo figlio di Dio, Davide Lazzaretti, un santo per chi lo seguiva, un eretico, un sovversivo o un pazzo per le istituzioni, ma per Cristicchi “non è catalaogabile”: “All’inizio la sua storia è inquietante perché pone degli interrogativi che magari nella tua vita non ti eri mai fatti. Io giro queste domande a chi mi viene ad ascoltare”. Una storia controversa, soprattutto, per il fine dell’Ottocento, con uno Stato alla ricerca di una sua stabilità e una Chiesa che doveva ristabilire i suoi equilibri.

cristicchi03Un fine dell’Ottocento che non è poi così tanto diversa dalla situazione di oggi. “Le due epoche sono sovrapponibili. Non siamo molto lontani da quella società, oggi c’è distinzione tra virtuale e reale, in passato c’era un materialismo forte, una voglia di modernità che spingeva l’umanità. Oggi siamo nel mezzo di un deserto, si sono sgretolate tutte le ideologie, davanti a noi il nulla ma anche la possibilità di re-inventarsi”. La speranza c’è, sta nelle persone che “hanno toccato il nocciolo della vita, di chi ha cambiato lo sguardo, anche attraverso un dolore”.

Simone Cristicchi interroga gli altri perché prima di tutto si fa interrogare. “La mia religione è quella del dubbio, l’importante è essere in cammino e non fermarsi, non farsi schiacciare dal dubbio opprimente.” Senza cinismo, seguendo la responsabilità di padre in famiglia e di artista in teatro, consapevole del “mistero della nostra vita” che ancora attrae le persone. E lui, nel mestiere che ha scelto, si sente un po’ “l’uomo a forma di punto interrogativo”, per sé e per gli altri.

A cura di Giuliano Cattabriga

Questo contenuto non è disponibile per via delle tue sui cookie

9 Marzo 2017