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Jean Paul Habimana viene intervistato in occasione dell’anniversario del genocidio dei Tutsi in Ruanda. Professore di religione, sposato e papà di un bimbo di tre anni e vive a Milano. Voleva diventare sacerdote ma poi l’amore è venuto a bussare alla sua porta, un amore che ha colmato anni di sofferenza e patimento. A dieci anni Jean Paul ha visto cose che un bambino non dovrebbe mai vedere, nel suo paese dal 6 aprile a luglio 1994 sono state uccise più di 500.000 persone, c’è chi dice un milione. Fu odio interetnico quello fra Hutu e Tutsi, generato dalla pesante eredità coloniale belga, usato dai governi dittatoriali, strumentalizzato da alcune potenze occidentali. Jean Paul ha perso suo padre, gran parte dei suoi parenti, ha perso la sua giovinezza, ma non la capacità di perdonare, perché “vittime, assassini, alla fine siamo tutti un unico popolo. Entrambi necessitiamo di guarire”. Dapprima il seminario minore in Ruanda, e poi gli studi teologici e filosofici in quello di Reggio Calabria, un percorso in seguito abbandonato per perseguire quella che era la sua vera vocazione, diventare insegnante di religione. È così che Jean Paul tramanda una storia ormai troppo spesso dimenticata, raccontando ai giovani cosa si cela dietro l’odio per un’altra razza.

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11 Aprile 2018