Nel giorno della Festa della Liberazione Tv2000 ricorda la fucilazione nel 1944 di 12 monaci di clausura accusati di aver nascosto nel monastero ebrei e partigiani

Roma 25 aprile 2018. La strage di Farneta. A pochi chilometri da Lucca si consuma la fucilazione di 12 monaci e circa 50 rifugiati assassinati senza pietà dall’esercito tedesco in ritirata per l’avanzata degli alleati. Una strage dimenticata. Il Tg2000, il telegiornale di Tv2000, la ricorda con un reportage a cura di Cristiana Caricato nel giorno in cui si celebra la Festa della Liberazione. La vaticanista del Tg2000 attraverso riprese fatte (anche con il drone) sui luoghi della strage e il racconto del giornalista Luigi Accattoli (autore di un libro su questo tema) ripercorre una delle pagine più drammatiche nella secolare storia della Certosa di Farneta.
Nella notte tra il 1 e il 2 settembre del 1944 i tedeschi sono in ritirata. Arrivano a Pisa pronti per conquistare Lucca. Nella Certosa sono rifugiati un centinaio di ricercati, prevalentemente giovani fuggiaschi dalla leva, partigiani che hanno perso il contatto con le loro divisioni, antifascisti delle città vicine, quattro ebrei. Le persone più note, più importanti sono vestite da monaci e sono nel monastero, gli altri rifugiati sono nelle stalle, nei fienili, all’interno del complesso molto vasto della Certosa. Un sergente tedesco suona alle 23.15, immaginando di sorprendere nella cappella i monaci. Dopo aver suonato, il monaco portinaio risponde da uno spioncino. Il tedesco dice che deve consegnare un pacco al maestro dei novizi, a uno dei padri della Certosa perché i tedeschi che erano accampati fuori da giorni, devevano di dover partire il giorno dopo. Il guardiano fa presente che non si poteva a quell’ora. Il tedesco insiste, e il guardiano apre la porta. E quando la porta è appena accostata un gruppo di tedeschi che era dietro il sergente fa irruzione, sfonda, apre e spalanca il portone.
“Il rastrellamento dei monaci e dei rifugiati – ricorda Luigi Accattoli – avviene tra le 23.30 e mezzanotte e mezzo. I monaci vengono portati nel parlatorio, che è una stanzetta che sta poco dopo il portone d’ingresso sulla sinistra, i rifugiati vengono ammassati in un cortile, vengono messi lungo la parete di fondo e tenuti sotto tiro, sotto la minaccia di una mitragliatrice, man mano che ne vengono trovati nella stalla, nei fienili e nelle varie zone della Certosa. Così anche i monaci nel parlatorio sono costretti in un piccolissimo ambiente. Sono molto spaventati, naturalmente non sanno quello che sta per succedere, si danno l’assoluzione l’uno con l’altro e pregano. Così passano gran parte della notte fino al mattino quando avviene il trasferimento”.
I prigionieri vengono trasportati a Nocchi di Camaiore, rinchiusi nel magazzino di un frantoio e dopo alcuni giorni fucilati nei pressi di Massa Carrara. I primi due monaci moriranno il 7 settembre, gli altri 10 saranno assassinati tre giorni dopo. Uccisi perché avevano dato rifugio a ebrei, partigiani, ma anche povera gente.
“Utilizzando una categoria che è stata introdotta da Paolo VI, – conclude Accattoli – possiamo considerare questi 12 certosini martiri della carità. Dal 2000 che mi batto perché la chiesa italiana faccia un atto di riconoscimento, ho preso contatto anche con le persone che potrebbero avviare questo processo ma non avviene, non scatta la scintilla, non c’è l’attrattiva reputo sbagliato tutto questo, perché semmai ci siano delle persone la cui conoscenza, la cui divulgazione potrebbe essere attrattiva, significativa per esempio per i giovani di oggi sono proprio questi martiri della carità e dell’aiuto agli ebrei”.

25 Aprile 2018