Il 20 ottobre del 1599, avvenne a Roma uno degli eventi più noti della storia religiosa moderna: la ricognizione del corpo di Santa Cecilia. La salma di una delle martiri del cristianesimo primitivo romano, venne riportata alla luce intatta nel corso di alcuni lavori di restauro all’interno della basilica trasteverina a lei dedicata. Alla notizia della scoperta accorse da tutta Roma una grande quantità di fedeli che invasero Trastevere per vedere e pregare il sacro corpo.

La ricognizione, voluta dal cardinale Paolo Emilio Sfondrati, titolare della Basilica, divenne il modello per tutte le altre ricognizioni operate sui corpi dei martiri ritrovati nelle catacombe romane.

Cecilia, cristiana e appartenente ad una nobile famiglia romana, è vissuta tra il II e il III secolo d.C.; la sera delle sue nozze rivela al marito pagano Valeriano la sua volontà di mantenersi vergine, inducendo anche lui a convertirsi al cristianesimo. Valeriano e suo fratello Tiburzio vengono battezzati da papa Urbano I, ma sono poi denunciati e decapitati insieme al funzionario di giustizia Massimo, convertitosi a sua volta. Cecilia è invece destinata ad essere soffocata viva con i vapori del bagno della sua stessa casa, ma ne esce illesa. Viene allora condannata alla decapitazione: fu colpita tre volte dal carnefice, che non riuscì però a reciderle completamente il collo; sopravvisse per tre giorni, pregando il pontefice di trasformare la sua casa in una chiesa.

La sua venerazione risale al VI secolo e il suo culto si ritrova nei sacramentari più antichi, come il leoniano, il gelasiano e il gregoriano.

Nel corso del medioevo, la devozione alla martire romana si diffuse anche in Francia e in Spagna e persino nel mondo bizantino.

Il ritrovamento del suo corpo avvenne a pochi mesi dall’inizio del grande e trionfale Anno Santo del 1600 per volere, appunto, del cardinale Paolo Emilio Sfondrati, titolare della Basilica trasteverina.

Nella cassa il sangue sembrava ancora fresco e le sacre membra apparivano incorrotte, a distanza di 1400 anni dal martirio. Così la descrisse Antonio Bosio (1575-1629) archeologo e studioso della storia antica della Chiesa, che partecipò alla ricognizione:

Poiché il corpo della vergine non appariva più lungo di cinque palmi mezzo, ciò è da imputare senza dubbio alla aridità e alla contrazione delle ossa a causa della vetustà. Ma chi può mettere in dubbio che la vergine, quand’era in vita, fosse di statura più alta ? Quel corpo giaceva appoggiato sul lato destro, con le gambe un po’ contratte, le braccia protese in avanti, con la testa assai ripiegata, il viso rivolto verso terra a guisa di chi dorme, conservando con ogni probabilità la stessa posizione che aveva assunto dopo il triplice colpo al quale era sopravvissuta per tre giorni prima di rendere l’anima a Dio e con la quale, parimenti, era stata collocata nel cimitero del pontefice Urbano : così Pasquale aveva riposto la salma sotto l’altare maggiore, in modo che la parte superiore fosse rivolta verso la parte meridionale della chiesa e quella inferiore verso la parte settentrionale. L’illustrissimo cardinale Sfondrati si occupò di far costruire un simulacro in marmo raffigurante questo corpo giacente (…).

Il cardinale Sfondrati decise dunque di realizzare una statua della santa da porre sotto l’altare maggiore, affidando l’importante incarico al giovane Stefano Maderno, che era allora pressoché sconosciuto. La statua di Santa Cecilia, raffigurata nel momento della ricognizione, fu la sua prima opera importante e allo stesso tempo la più celebre e apprezzata, alla quale lo scultore deve la sua fama.

L’altare e il presbiterio vennero separati dal resto della chiesa da una balaustra arricchita da marmi policromi, alternati a lapislazzuli. La nicchia in marmo nero, inquadrata in una cornice marmo rosso venato di scuro con ai quattro angoli la stella a otto punte dello stemma del cardinale, è sormontata da due angeli dalla forma leggermente serpentinata, recanti la palma e la corona del martirio. Lateralmente vennero posti dei pilastrini laterali in marmo giallo, sormontati da due vasi in bronzo con fiori e racemi. A destra e a sinistra della nicchia furono poi inseriti due bassorilievi raffiguranti Valeriano, Cecilia, Tiburzio, Massimo e i papi Lucio e Urbano.

La Basilica possiede un ingresso monumentale, costruito da Ferdinando Fuga, su una delle piazzette più caratteristiche di Trastevere. Appena varcato l’ingresso, sulla destra è possibile notare un cippo del pomerio di Roma, che anticamente segnava il confine sacro della città.

Si entra in un tranquillo e silenzioso cortile caratterizzato da una grande fontana centrale che riutilizza un antico càntaro marmoreo. Di fronte, la facciata è preceduta da un portico che conserva le colonne antiche e l’architrave originale. Sulla destra il monumento di Giacomo Rainaldi al cardinale Sfrondati, decorato con rilievi marmorei che ricordano la ricognizione del corpo di Santa Cecilia.

L’interno è a tre navate divise da pilastri che inglobano le colonne antiche; la navata maggiore è a volta a botte ribassata, luminosa e ampia, tipica del settecento.

Dalla navata destra, attraverso un corridoio si arriva al calidarium, l’antico bagno nel quale la Santa restò tre giorni esposta ai vapori uscendone illesa.

Al centro del presbiterio è presente il ciborio di Arnolfo di Cambio, firmato dall’artista e risalente al 1293. Nel catino absidale, il mosaico del IX secolo raffigurante il Redentore benedicente con i Santi Paolo, Cecilia, Pasquale I e Pietro, Valeriano e Agata.

Ma un altro capolavoro si nasconde in una delle sale del convento: il Giudizio universale, dipinto da Pietro Cavallini negli ultimi anni del XIII secolo sulla controfacciata della Basilica. È questa l’opera che ha messo in dubbio il primato di Giotto come padre della pittura moderna italiana e ipotizzato Roma come sede di questa rinascita.

Mauro Monti


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22 Novembre 2016

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