Una vita sul palco. Luca De Filippo, si spegne improvvisamente a 67 anni abbandonando il teatro, ereditato dal padre Eduardo, per sempre.

E’ il 1 novembre, quando nonostante i forti dolori alla schiena di cui ci parla fuori onda, per il programma tv Bel tempo si spera su TV2000, accetta di incontrarci nel camerino del teatroAugusteo di Napoli. In questa che, verrà ricordata come la sua ultima intervista. Dove guarda però al futuro dei giovani napoletani che, come il padre, ha sempre amato e protetto. Attraverso la Fondazione Eduardo de Filippo.

Questa sensibilità nasce da un impegno preso da Eduardo verso giovani napoletani a rischio quando fu nominato senatore a vita da Pertini ed è un impegno che nel mio piccolo cerco di portare avanti anch’io da tanti anni. In questo senso la Fondazione cerca di occuparsi il più possibile di riproporre all’attenzione pubblica questo problema. Questi ragazzi realmente iniziano la loro vita in quartiere molto difficili, duri e bisognerebbe cambiare questi luoghi per poter dare loro la possibilità di avere una giovinezza serena, meno traumatica. Cerchiamo di farlo, nel nostro piccolo”.

Rispetto alla generazione di suo padre, così sensibile ai giovani, lei che ragazzi incontra ogni giorno?

“Sembra strano ma la criminalità di oggi è una criminalità molto più pesante, rispetto al passato, perché si è arrivati oramai a degli scontri fisici estremamente duri. C’è una violenza di base molto più forte rispetto a prima. Tutto è più complesso perché non sia più a che fare solo con ragazzi napoletani ma con ragazzi che vengono da altre parti del mondo, che hanno dei codici diversi che dobbiamo reciprocamente imparare a riconoscere e capire per poterci amalgamare tra di noi.

Questo diventa tutto più complesso è più difficile soprattutto in quartieri dove la violenza è di casa nel vero senso della parola: quartieri difficili e pericolosi.
Ma nello stesso tempo adesso col Teatro Stabile stiamo aprendo una scuola di recitazione e io ho fatto i provini a questi ragazzi che hanno fatto richiesta di entrare e tantissimi di questi ragazzi vengono proprio dai quartieri più difficili, quelli che compaiono sugli articoli dei giornali per situazioni molto dure.

E’ difficile ecco questo mi fa pensare che poi non è che esiste soltanto il ragazzo che si avvia verso la violenza così tanto per fare, ma esistono ragazzi di buona volontà nel vero senso della parola e che poi si trovano a vivere in un contesto difficile e tanti ragazzi non ce la fanno.
Ma poi ce ne sono degli altri. Come quelli per esempio che si sono rivolti al teatro. Che cercano il gruppo ma nel senso buono della parola. Cercano di sopravvivere nel loro quartiere ma parallelamente agli altri modi di vivere. E questo secondo me ci dà molta speranza rispetto ai giovani che poi saranno gli uomini di domani”.

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4 Giugno 2018