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“Un giovanissimo filosofo, avvenente, coerente, volutamente antimoderno…impregnato di tradizionalismo cattolico”, così Libération definisce François-Xavier Bellamy, un fenomeno in Francia, tra gli intellettuali, nella politica: è stato vicesindaco di Versailles, è parlamentare europeo, tra i Républicains, e allergico alle etichette. Che sia cattolico, è innegabile. Che sia tradizionalista, forse per Libération, se tradizionalista significa essere contrario alla manipolazione degli embrioni e all’utero in affitto. Bellamy ha insegnato per scelta filosofia nelle banlieues di Parigi, sostiene che essere filosofo non è un titolo accademico, ma una disposizione esistenziale .Sostiene che la politica ha il compito di difendere un’eredità culturale, ha illustrato il suo impegno a Bruxelles citando l’Iliade e l’Odissea…Il suo primo libro, I diseredati, un best seller: ricostruisce la crisi della trasmissione della conoscenza, come se la cultura inquinasse un sapere “naturale”. Il suo secondo libro, ora pubblicato in Italia da Itaca e dalla Fondazione De Gasperi, si intitola Dimora. Per sfuggire all’era del movimento perpetuo. Perché nella frenesia straniante del nostro mondo, che corre senza una meta, dobbiamo porci il problema di una meta, e delle radici. Come diceva Pavese, “un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli. Sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti“.

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16 Marzo 2020