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Ha suscitato grande interesse la riflessione del Papa sulla preghiera del Padre Nostro. In particolare nel passaggio: “e non ci indurre in tentazione”.
L’eco sui giornali di oggi ha regalato alla stampa anche qualche titolone a effetto come ‘il Papa vuole cambiare il Padre nostro’ o ancora ‘quella frase sbagliata’. In realtà vale la pena ricordare anzitutto che la questione non è nuova. Né è soltanto italiana. Nel 2008, con la nuova traduzione della Bibbia, la Cei ha preferito la formula “non abbandonarci alla tentazione” per ovviare al malinteso che la lingua italiana genera col verbo indurre, cioè quasi spingere alla tentazione. Ma andiamo alle fonti originali.
Il testo greco del Vangelo di Matteo usa in quel passaggio un verbo composto: eis più fero, cioè letteralmente: portare dentro. Ecco perché si pone la questione se sia Dio a trascinare l’uomo in tentazione o se, piuttosto, sia la debolezza umana a cedere alle lusinghe del maligno. Le conferenze episcopali di Francia e Spagna hanno già optato per una maggiore chiarezza. Modificando entrambe il testo col significato che, più o meno, suona così: non lasciarci cadere in tentazione. In italiano attende l’aggiornamento anche il Messale (dopo quello come detto della Bibbia) e dunque, lo ricordiamo: non abbandonarci alla tentazione. Anche se non sono pochi a chiedere che si preferisca la formula: fa’ che non cadiamo in tentazione. Servizio di Nicola Ferrante

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7 Dicembre 2017

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