Damiano Tommasi
Damiano Tommasi

A Soul, domenica 3 gennaio alle 12.15 e alle 20.30 su Tv2000, l’incontro con un grande calciatore, indimenticato mediano della Roma e della nazionale vittoriosa. Damiano Tommasi, Presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, di fatto il “sindacato” dei calciatori nazionali. Con tutti i soldi e i privilegi che hanno, verrebbe da dire, hanno bisogno di un sindacato? Ma i professionisti del calcio non sono solo i pochi stellati e contesi dei grandi club. Ci sono per esempio le ragazze di Locri, che vivono sula loro pelle una doppia discriminazione, quella di giocare in terre offese dalla criminalità e di essere donne.

“Il 60 % delle intimidazioni riguardano i professionisti, che sono tantissimi, anche i ragazzini possono esserlo. La maggior parte di queste intimidazioni provengono dai nostri tifosi, e  poi c’i sono le mafie, quindi il fenomeno è più forte al sud. Al centro dell’attenzione non c’è più lo sport, ma il discorso dei bilanci, il discorso economico, del business”.

“Il calcio femminile è una delle parti del calcio che, come Associazione, rappresentiamo. In Italia non c’è nessuna disciplina femminile che sia professionistica. Il mondo del calcio femminile in Europa e nel mondo è in forte evoluzione. Nelle ultime Olimpiadi di Londra è stato lo sport di squadra più visto, nei mondiali in Germania ha fatto l’80% di riempimento negli stadi. È sicuramente una disciplina in crescita su cui l’Italia sta investendo molto poco”.

Tommasi è una persona perbene, seria e senza ombre. Ha una splendida grande famiglia, sei figli, una storia familiare di vita semplice, sulle montagne del veronese. E’ un  uomo di fede, che si spende gratuitamente in campo educativo e caritativo, senza ostentazioni.

“Il problema è che un calciatore deve giustificare i guadagni che ha e l’imprenditore no. All’imprenditore si riconosce la capacità, mentre al calciatore la fortuna. Completamente sbagliato. Il politico lo paghiamo noi, mentre il calciatore lo paga l’imprenditore che guadagna più del dipendente. Il problema del calcio è che lo stipendio del calciatore si pensa che lo paghi il pubblico che va allo stadio. Nessuno si sognerebbe di dire che Vasco Rossi è un proprio dipendente perché va a un suo concerto. Invece un calciatore è dipendente del pubblico che va a vederlo. Questo è il paradosso del calcio. In realtà c’è un imprenditore che si compra una società sportiva e può fare il bello e il cattivo tempo”.

 “Un ragazzo a quindici anni non è un ragazzo che gioca nella Roma, ma è un ragazzo che gioca a calcio. Ha possibilità di fare del calcio il proprio mestiere, ma può essere un’illusione e deve stare attento a non caderci, perché c’è il rischio che tra cinque anni rischi di non giocare nemmeno più a calcio. Potrebbe infatti essere diventato un disilluso, potrebbe provare rancore nei confronti di questa disciplina che l’ha portato a giocare nelle giovanili della Roma. Il calciatore ha delle capacità che difficilmente gli vengono riconosciute. Ci sono milioni di ragazzi che giocano a calcio e solo in ventidue scendono in campo la domenica”.

“L’aspetto di vendere o comprare un giocatore è uno dei temi che più mi sta a cuore anche dal punto di vista sindacale. Credo che a bilancio di un’azienda, di una spa, non può esserci una persona come valore patrimoniale”.

“C’è un’attenzione al risultato tale per cui non è importante il modo in cui si raggiunge, ma l’importante è che arrivi. Si è tanto bravi a parlare, ma la verità è che si osanna chi vince e si demonizza chi perde a prescindere da quello che succede in mezzo al campo”.

 “Si porta il proprio figlio a fare sport con la speranza che diventi  “chi” e non  con la speranza che dallo sport possa apprendere qualcosa. Dico sempre ai genitori che se il sogno dei loro figli è quello di diventare calciatore per avere tanti soldi, andare in televisione e guidare belle macchine, forse devono preoccuparsi dei sogni dei loro figli. Se invece il bambino sogna di andare sui campi più importanti del mondo per giocare contro i più bravi interpreti del suo sport preferito e vuole coronare il sogno della sua passione sportiva allora è giusto crederci ed è giusto anche avere i modelli sportivi”.

 “Il mio impegno nel sociale probabilmente deriva dal fatto di essere terzo di cinque figli e quindi sono sempre stato abituato a condividere. Ho sempre dato visibilità alle iniziative che credevo la meritassero”.

 “Sono una persona con certi principi, valori, ma con soprattutto una storia. Sono cresciuto in un paese in cui i ritmi della giornata o della settimana erano dettati dalla liturgia. Adesso è più difficile perché c’è più mobilità. È più facile conoscere una persona dall’altra parte dell’Italia che il proprio vicino di casa. Tutto ciò può togliere quella radicalità del vivere anche l’aspetto religioso. Non impongo ai miei figli la mia fede perché mi piace che arrivino a certe cose con delle domande cercando delle risposte”.

2 Gennaio 2016

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