19618028975_266690232c_bIl Vangelo di Giovanni presenta una delle immagini privilegiate con cui Dio viene presentato nella Scrittura: Dio è il pastore di Israele, o meglio, come recita l’orante, è colui al quale si può indirizzare l’espressione «mio pastore». Non un pastore generico, dunque, ma un pastore conosciuto, amato, insostituibile, tanto da far parte della propria vita. «Mio» non perché se ne possa disporre a proprio piacimento o piegarlo alle proprie richieste o logiche, ma in virtù di un rapporto intimo, familiare, qualificato dalla categoria dell’amore. Dio non è geloso della sua pastoralità, ma la condivide con la creatura umana. I padri e le madri di Israele sono infatti pastori di bestiame minuto (pecore e capre), vivono sotto le tende e si spostano in base alle esigenze del gregge. Ammaestrati dalla loro esperienza, comprendono che Dio si comporta con loro come il migliore dei pastori. Non una semplice guida, ma il compagno di viaggio che condivide tutto con il suo gregge.

Dal Sussidio CEI – Pasqua 2017, a cura dell’Ufficio Liturgico Nazionale

7 Maggio 2017