Sabato 5 maggio ore 12.50 e 20.45- domenica 6 ore 12.50 e 20.30– Continua anche in questo weekend lo “Speciale 68”,  la serie di Soul sul Sessantotto cattolico. Otto interviste di Monica Mondo di una esperienza che spesso si dimentica nelle rievocazioni di quel movimento.  Protagonisti Francesco Alberoni e don Vinicio Albanesi.

Francesco Alberoni,

il sociologo per eccellenza, autore di best seller, editorialista di punta, leggendario rettore di quell’ Università di Trento culla del ’68 e poi dei primi brigatisti… Lucidissimo novantenne, multiforme per esperienze e interessi, ha anticipato tantissimi fenomeni che oggi leggono la società, dallo studio dei movimenti collettivi alla società dei consumi, dai cambiamenti dell’esperienza amorosa, letta in controluce all’ analisi della società. Alberoni afferma: “Il 68 è stato solo un revival marxista. Un movimento politico, non culturale. (…) Mi spiace per gli studenti che si sono perduti. Per Renato Curcio, che doveva fare lo studioso,  per Mauro Rostagno, ucciso dalla mafia. Poi è arrivato un mare di gente che parlava per slogan e voleva fare la rivoluzione…credevano di essere in America Latina. Si sono occupati la mensa che autogestivano, da soli! Non valevano nulla, erano degli sbandati. Per questo ho lasciato quell’ Università. Io sono poco accademico, sono anomalo, sempre. Ero stato accolto da loro come un leader del movimento, ma parlavo da rettore, avevo una forte autorità, e gli studenti del movimento, i primi, una forte autorevolezza. Poi è cambiato tutto”.

“Sono i consumi a spingere la società, anche se la presenza delle multinazionali oggi è così oppressiva attraverso il monopolio dei mezzi di comunicazione…

“Padre Agostino Gemelli è stato il mio maestro spirituale. Era un mistico. E’ stato mio padre. Gemelli era un genio. Mi voleva bene e io gli volevo bene. Io sono religioso, fondamentalmente, ma non avevo bisogno di pregare con lui, lui non mi ha mai chiesto niente. Non era un bigotto!”.

“Oggi c’è una tendenza culturale a rompere la coppia. In parte per  ragioni economiche. E poi è stato saccato l’amore dal sesso. Il meccanismo dell’innamoramento non ha nulla a che vedere col sesso. San Francesco e santa Chiara erano innamorati. C’è una corrente culturale che non vuole la coppia, che vuole sbriciolare la coppia, che esalta solo l’individuo, la sessualità. Quando ho scritto “Innamoramento e amore” il libro che andava di moda era “Porci con le ali”…”

“Cos’hanno fatto in Siria, cos’hanno fatto in Libia. Non è uno spettacolo edificante, guidato da morale e ideali, ma dal più brutale e schifoso interesse. Eppure bisogna costruire, ricostruire, sempre. E l’Italia resta un paese umiliato, asservito, ma che sa costruire, c’è un sacco di gente creativa…Non ha le risorse! C’è un incastro malvagio tra burocrazia, giurisprudenza, politica…Ma noi assimiliamo tutto,  tutti, siamo molto duttili”.

 

Don Vinicio Albanesi

È un prete di campagna, ruspante, marchigiano, esprime le sue convinzioni senza timore ed è conosciuto soprattutto per essere il presidente della Comunità di Capodarco, e del famoso Redattore Sociale. Don Vinicio Albanesi e Capodarco sono nomi ben noti nel mondo del volontariato, delle istituzioni  per i disabili, le madri sole, i malati psichiatrici:  persone, che hanno sogni, risorse e la possibilità di realizzare se stessi, di essere felici, non solo un problema da occultare, da sopportare, scarti. Persone che vanno accompagnate, per questo don Vinicio è stato tra i fondatori del Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza.

Il seminario a undici anni, gli insegnamenti di don Di Liegro, oggi don VInicio è insegnante di diritto canonico all’Istituto Teologico Marchigiano, giornalista, scrittore, ma non ama cullarsi sui suoi successi , nn è cambiato: diretto, aspro a volte, essenziale, nella fedeltà al Vangelo. Scrive i suoi pensieri in un blog, L’inquieto, e anche se sembra incline all’utilizzo dei nuovi media non ha Facebook, Twitter o Skype. Perché se volete trovarlo, dovete andare a Capodarco.

Don Vinicio è diventato sacerdote nel 1967, un anno prima di quel famoso ’68 che ha rivoluzionato il mondo. Eppure, nonostante i venti di cambiamento, non è mai stato un contestatore: “Non ho mai partecipato a nessun corteo, né religioso né civile, sia pro che contro. Quando arrivai a Roma nel ’67 vidi questa contestazione, ma non capii nulla, perché venivo dal paese, non ero mai stato in città. Dal cuore della Chiesa invece da noi non è mai arrivato niente, c’era stato il Concilio Vaticano, ma era stata un’intuizione di poca gente intelligente e capace”.

Ci si poteva perdere in quegli anni, come molti sacerdoti, che hanno poi abbandonato la Chiesa. Cosa lo ha salvato dall’aderire al ’68 aderendo a un’altra vocazione? “Volevo rispettare la scelta fatta a venti anni, poi mi arrivarono tre proposte. La prima, incrociando il cardinal. Benelli che mi voleva come nunzio per la carriera diplomatica. Mi chiamarono poi per fare il parroco in una zona periferica, vicino a  Ostia, perché allora come adesso  Roma non ha mai avuto molte vocazioni nonostante la cospicua presenza di religiosi. Poi arrivò don Franco Monterubbianesi che mi chiese una mano per Capodarco: se  dovevo fare il prete era meglio scegliere una strada che aiutava qualcuno”.

E’ quello che don Vinicio definisce come il “68 minore”, che ha scelto di dedicare tempo e risorse ad un cambiamento di tipo sociale e che vede protagonisti tanti cristiani e sacerdoti, coinvolti in opere di sussidiarietà. “Questi ragazzi capirono che il cambiamento riguardava tutto, la politica, il lavoro, ma anche la dignità della persona. Se pensiamo alle carceri, la malattia psichiatrica, ecc., questo nuovo approccio andava diffuso su tutti gli ambiti della vita. E qualcuno iniziò a dire che voleva dedicare la propria vita agli altri. Questo è avvenuto a livello italiano ma anche a livello universale. Le persone sono tutte uguali, ma occupandoti dell’altro ti si allargano gli orizzonti, capisci che non sei l’unico al mondo e che molte tue  piccole esigenze sono stupide”.

3 Maggio 2018

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