Domenica ore 9.20

Gnagni_FrancescoBuongiorno Ragazzi! Sono Francesco, dalla redazione del programma “Buongiorno Professore”.

Oggi voglio condividere con voi questo pensiero. L’altra sera stavo guardando in tv un noto talent-show musicale, e mi è capitato di vedere un giudice rivolgersi a un concorrente con la seguente frase: “canti senza interessarti delle conseguenze delle tue azioni”. Sarà per il contesto musicale in cui ci si trovava, sarà per l’energia e lo spirito “rock” di molti cantanti in gara, la frase mi ha portato alla mente subito l’immagine di uno dei gruppi musicali che più ha segnato la storia della musica rock nella seconda metà del secolo scorso, facendo nascere il punk-rock. Il motto più noto di questa band recitava le parole “No future”.

Ho fatto questo collegamento per una ragione evidente: perché è infatti proprio quando ci sembra che non ci sia un futuro davanti a noi che si finisce per agire senza pensare alle conseguenze. E non a caso oggi sono in molti, bombardandoci con messaggi di questo genere, a volerci convincere che davanti a noi non ci sia alcun futuro.

Il punk-rock è stato molto probabilmente il genere più violento e dannato di tutta la storia della musica recente. Oggi è molto diffuso e popolare, specialmente tra i giovani, e quando io stesso ero adolescente devo dire che mi piaceva abbastanza, e lo seguivo molto. Mi caricava, mi dava energia, ma allo stesso tempo veicolava in me anche un certo tipo di messaggio. Personalmente mi domando, tutt’ora e spesso, quale sia il futuro che questi giovani inglesi andavano cercando, e che sembrava così fortemente non essere alla loro portata. E inevitabilmente me la pongo anche da Cristiano, questa domanda. Chi crede nel Vangelo infatti, è portato a ricercare l’eco delle Scritture nella vita di tutti i giorni, intravedendolo negli eventi e scovandolo nello Spirito del tempo.

Il Vangelo è buona notizia, e parla del futuro. Si potrebbe dire che sotto molti aspetti il Vangelo è proprio parola del futuro, che ci parla del giudizio di Dio e della vita eterna. Come si legge per esempio nel Vangelo di Matteo, al capitolo 5, versetti 1-12:

“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi”.

È palese come, visto in questa ottica, l’urlo di quella band inglese è l’urlo di chi non riesce a vedere il futuro, di chi ha smarrito la speranza e perciò invoca aiuto, chiamando a proprio modo il Signore. Proprio così: lo cerca, e per di più urlando. Io personalmente, in quanto credente, la vedo infatti così: il Signore esiste per tutti, credenti e non credenti. Ed è plausibile pensare che i non credenti, gli atei, praticano altre forme di spiritualità al di fuori delle religioni, seguono cioè i propri idoli. Ma Dio, almeno secondo me, esiste per tutti, e quindi anche per loro.

Perciò da dove sale questa domanda, questa ricerca di futuro, di speranza? O piuttosto, perché si manifesta? Forse per via di promesse disattese. Magari per causa di nostre debolezze, di colpe personali che non riusciamo a riconoscere, ad ammettere, a confessare. Oppure per usi troppo spesso materiali del futuro. O peggio ancora strumentali, legati a un obiettivo o ad un momento particolare. La chiamata di Gesù è però una chiamata alla vita eterna, a un passato che si incarna continuamente nel presente e ci accompagna nel futuro, in un futuro eterno, sempre presente.

Chi è che invece disattende il futuro e ci spinge a urlare “No future” convincendoci che non ci sia, questo futuro? Probabilmente chi si dimentica delle proprie responsabilità, senza delle quali non esiste libertà, ma solo una sua ombra, una sua parvenza, un’illusione di libertà. Lo disattende chi non pensa al presente in maniera responsabile, o detto in altre parole, chi fa ciò che non deve. Chi non rispetta le regole, chi non ascolta i propri genitori. Chi si dimentica degli altri, e peggio ancora di chi ha bisogno, dei poveri: perché tutti lo siamo, tutti abbiamo bisogno degli altri, e qualcuno ne ha più bisogno di qualcun’altro, in una società troppo spesso dominata dalle ricchezze materiali più che da quelle spirituali.

Tuttavia non è per niente facile trovare risposte a questo genere di domande. Quello che però nel mio piccolo posso consigliare a un giovane, poco più giovane di me, è di guardare al presente in maniera responsabile, e di credere profondamente nel proprio futuro: cerchiamo il senso profondo della vita, ma non dimentichiamoci dei nostri compiti, e tantomeno degli altri. Tendiamo la mano al nostro prossimo, anche quando ci sembra nell’errore, o quando non lo capiamo perché ci appare diverso. La diversità è la più grande ricchezza dalla quale possiamo attingere, perché lì c’è qualcosa che non abbiamo, che non siamo, o forse che ci sembra di non essere. Cerchiamo il grande valore che c’è nel diverso, anche quando non ci piace, e cerchiamo di comprendere le critiche degli altri, specialmente quando ci sembrano dure. Cerchiamo sempre di aiutare gli altri nelle loro debolezze, perché sono anche le nostre. Specialmente quando fingiamo che non sia così, e le mascheriamo con atteggiamenti violenti, replica di modelli profondamente ingiusti, e quindi sbagliati.

Crediamo nel nostro futuro ragazzi, e non facciamoci ingannare: è tutto quello che abbiamo.

 

4 Novembre 2015