La passione di raccontare storie

‘Il nostro Paese’ è la docuserie, in onda su Tv2000 dal 21 aprile ogni giovedì in seconda serata, che racconta le vita di otto ragazze, parte integrante dell’Italia, ma che la legge le considera straniere.

‘Il nostro Paese’ è un viaggio nell’Italia di oggi, il racconto della vera grande ricchezza a lungo termine del Paese. In otto episodi le storie di: Insaf, 22 anni, origini tunisine, vive a Bologna e studia Scienze politiche; Rabia, 22 anni, nata in Pakistan ma arrivata in Italia all’età di un anno; Ihsane, crede nella Costituzione italiana, nata in Marocco vive a Reggio Emilia, studia Legge e fa la mediatrice culturale; Mariya, 30 anni, mediatrice culturale in ambito sanitario, è nata in Bielorussia e vive a Napoli da 14 anni; Anna, ha la cittadinanza in un paese che non ha mai visto, 25 anni, studia Finanza e consulenza alla Partenope a Napoli; Ana Laura che vorrebbe frequentare il collegio europeo a Bruges, 20 anni, nata in Brasile e arrivata in Italia nel 2007, frequenta la facoltà di Relazioni pubbliche a Gorizia; Alessia, 20 anni, nata in Russia, è campionessa ma non può gareggiare; Sabrine, 21 anni, di origini tunisine, nata a Barletta, studia Scienze politiche relazioni internazionali. La serie è scritta e diretta da Matteo Parisini.

 

 

Le ragazze de ‘Il nostro Paese’ si raccontano:

INSAF che vorrebbe sentirsi dire dall’Italia: anche tu sei mia figlia
Ventidue anni, origini tunisine, vive a Bologna e studia Scienze politiche.
Dice:
“Non essere riconosciuto per quello che sei ti crea degli squilibri, identitari e psicologici. Può essere frustante perché tu ti senti qualcosa ma la gente non ti vede per quello che sei. La cittadinanza non solo è un pezzo di carta ma è sentirsi dire dal tuo Paese: ‘ anche tu sei mia figlia’…L’Italia non è la mia mamma biologica ma adottiva e non mi sento riconosciuta dalla mia mamma”
“Io penso che la legge attuale sia sbagliata per quanto riguarda le seconde generazioni perché non è possibile che oggi i criteri fondamentali per riconoscere la cittadinanza siano solo il sangue o il reddito…Ad un ragazzo che è cresciuto in Italia non gli si può chiedere di produrre reddito perché, come me, a 22 anni un ragazzo studia, fa attività politica e sociale, ha le proprie passioni e non pensa a produrre reddito. Invece, per quanto riguarda le persone adulte a mio parere è anche giusto che non gravi sull’economia italiana e che al contrario dia un contributo concreto. Però ci deve essere questa differenziazione”.

RABIA che è nata per caso in Pakistan
Ventidue anni, di origini pakistane, vive a Cremona, è arrivata in Italia quando aveva sei mesi. Ha studiato in un istituto alberghiero, e vorrebbe aprire un suo ristorante.
Il padre ha un’azienda di autotrasporti dove insieme a lui lavora il figlio maschio. Rabia aiuta per la parte amministrativa, pensa agli ordinativi, alla selezione delle persone da assumere.
 Lei è nata in Pakistan “per caso”. Sua mamma viveva in Italia, ma mentre era incinta dovette tornare in Pakistan per assistere la propria madre malata; si trovò così a partorire lì, ma tornò in Italia pochi mesi dopo la nascita di Trabia.
Vorrebbe andare in India, ma non può essere un viaggio diretto: prima deve passare per il Pakistan, perché il suo passaporto è pakistano.
Dice:
“Sono italiana, ma non ho cittadinanza italiana. Eppure ho fatto tutto qua, sono crescita qua, ho studiato qua, ho amici qua”.
“Per me l’Italia rappresenta la mia casa. Questo è il mio posto di origine. Ovunque io vada, tornerò sempre qui”.
“Voglio prendere il diploma di maturità, poi iscrivermi all’università. E rimanere qui, a casa mia”.
“La cittadinanza mi spetta di diritto non per concessione”

IHSANE che crede nella Costituzione italiana
Marocchina, vive a Reggio Emilia, studia Legge e fa la mediatrice culturale.
Dice:
“Io sono in possesso di un permesso di soggiorno di lunga durata che non ha scadenza. Ma se tu Stato mi permetti di restare nel Paese quanto voglio e costruirmi un futuro qua e poi non mi permetti di votare e di accedere a ruoli all’interno delle amministrazioni comunali… A prescindere dalla destra e dalla sinistra non c’è la volontà di fare un passo in più…”.
“A noi figli di migranti da quando siamo piccoli ci “usano” come mediatori per i nostri genitori. Vedono come una ricchezza in sé il nostro background culturale e linguistico più ampio. Nonostante questo sia qualcosa che può far crescere questo Paese non lo vogliono riconoscere. Noi nuove generazioni sappiamo di avere questo potenziale ma solo in rari casi ci viene riconosciuto (e dobbiamo sempre dimostrarlo…)”.
“Io mi devo assimilare alla società per essere accettata? No, io posso essere integrata nella società italiana senza bisogno di essere uguale ad un cittadino italiano. Quali sono le caratteristiche di un cittadino italiano? Credere nei principi fondamentali della Costituzione italiana…”.

MARIYA che vorrebbe partecipare alla pari alle decisioni  
Trenta anni, mediatrice culturale in ambito sanitario, è Bielorussa, vive a Napoli da 14 anni.
Dice:
“Dal primo giorno che ho messo piede in Italia ho dovuto imparare a mediare…. Da quando ho iniziato a frequentare le scuole ho dovuto riflettere sulle differenze, io spiego me stessa agli altri e imparo a capire gli altri, è uno scambio e io lo vedo come una ricchezza enorme”
“La cittadinanza mi spetterebbe di diritto… ma può mai essere che semplicemente perché io ho un’altra origine, non ho diritto ad essere equiparata a tutte le altre persone che fanno la stessa vita mia, che fanno le stesse cose mie, che vanno dallo stesso macellaio, che abitano nel mio stesso parco, che pagano i contributi, pagano le tasse, pagano le bollette…”
“A parte la cittadinanza, anche il diritto di voto…io contribuisco alla vita sociale della città, io lavoro tutti i giorni, pago il biglietto tutti i giorni…perché non posso partecipare alla pari alle decisioni che mi influenzano?”.

 

ANNA che ha la cittadinanza in un paese che non ha mai visto
Venticinque anni, studia Finanza e consulenza alla Partenope a Napoli.
Dice: “Ho quattro genitori, quindi due famiglie: la famiglia biologica e la famiglia affidataria. Sono nata in provincia di Caserta. Credo di essere una ragazza comune. Ho solo un problema: mi manca la cittadinanza italiana. Sono nata in Italia, ma ho la cittadinanza in un paese che non ho mai visto e dove non ho mai vissuto: la Costa d’Avorio”.
“Mi viene tolta la possibilità di rivendicare la cittadinanza del posto in cui sono nata, in cui sono cresciuta. Mi domando cosa possa succedere se la legge cambia i requisiti e a me ne manca uno in particolare. È una domanda a cui non ho mai dato una risposta. Forse dovrà avvenire l’espulsione? Ma mi chiedo: in tal caso dove mi manderebbero, in un paese in cui non sono mai stata?”.
“Ho avuto difficoltà a conseguire la laurea triennale perché non avendo la cittadinanza italiana, quando scadevano i permessi mi bloccavano”.
“Andavo all’università e non mi facevano fare gli esami. Per conseguire la laurea triennale ho impiegato 4 anni e mezzo”.
“Quando mi sono iscritta all’università il rinnovo del permesso durava un anno, ma il primo certificato che consegnano non è quello effettivo, che invece è rilasciato quasi in prossimità della scadenza. Questo comporta ulteriori ritardi, perché se non si è in possesso del permesso effettivo non si può fare domanda di rinnovo. A volte sono passati anche tre mesi prima che potessi riprendere a dare esami”.
“Ho difficoltà anche a trovare il lavoro perché molti bandi sono riservati soltanto agli italiani”.  
Avrei potuto richiedere la cittadinanza al compimento dei 18 anni. Ma quando ho presentato la richiesta con tutti i documenti necessari i funzionari del Comune mi hanno detto che non erano a conoscenza della legge e soprattutto non era loro competenza. Sono stata in prefettura e in vari uffici pubblici, nel frattempo ho compiuto 19 anni e non ho potuto accedere alla richiesta nella modalità prevista dalla legge. Mi sono informata su quali fossero gli altri meccanismi per ottenere la naturalizzazione. Sono stata rimbalzata per una serie di uffici e tuttora dopo 6 anni io non ho la cittadinanza italiana”.
“Per un qualsiasi mio coetaneo viaggiare per l’Europa vuol dire rimanere in un territorio proprio, ma per me non è così. Io viaggerei da extracomunitaria. Anche in questo caso mi sono state precluse tante possibilità. Per esempio ho dovuto rinunciare all’Erasmus, che avevo vinto. Non essendo cittadina Europea mi sono stati chiesti dei documenti che non ho potuto produrre in un tempo limitato e ho dovuto rinunciare anche in questo caso a una cosa che mi andava tantissimo di fare”.
“Oggi lavoro per il servizio civile nazionale in un istituto salesiano, dove aiuto i bambini a fare i compiti e con loro svolgo qualche attività ludica”.
“La prima aggressione razzista l’ho subita qualche anno fa alla fermata dell’autobus. Un anziano mi ha insultata solo perché sono nera. Ho provato a spiegare, ma ho capito che le motivazioni del signore derivavano dalle ignoranti chiacchiere da bar. Quindi ho lasciato perdere”. 
“Il mio ultimo permesso di soggiorno scade a febbraio del 2020”.
“Ottenere la cittadinanza non è correlato al fatto di essere una persona in gamba e brillante o all’aver studiato”.
“Provo fastidio quando la cittadinanza viene ottenuta per meriti sportivi. Credo che sia una cosa ingiusta quantomeno nei confronti delle altre persone, normali e ordinarie. Passa il messaggio sbagliato che si ottiene la cittadinanza se si è campioni. In quest’ottica la cittadinanza viene vista come una concessione e non come un diritto”.

ANA LAURA che vorrebbe frequentare il collegio europeo a Bruges
Venti anni, nata in Brasile e arrivata in Italia nel 2007. Ha fatto il liceo linguistico a Trieste e adesso frequenta la facoltà di Relazioni pubbliche a Gorizia, è al primo anno.
Dice:
“Io mi sento più italiana che brasiliana, però mi piace il fatto che io sia entrambe le cose perché so che sono parte di me. Quando ascolto una canzone brasiliana mi batte il cuore fortissimo, lo stesso succede quando ascolto il cantautorato italiano”.
“L’Italia è il luogo in cui ho scoperto me stessa, dove la ‘me stessa’ è venuta fuori. Sono diventata Ana Laura in Italia”.
“Il mio sogno nel cassetto è il collegio europeo a Bruges. È un percorso lungo e difficile. Per entrarci devo avere la cittadinanza italiana, solo da quel momento posso fare l’iscrizione al bando”.
“L’Europa, i movimenti, la storia, la cultura, la società, sono argomenti che mi sono sempre interessati, mi è sempre piaciuto studiarli”.
“Gli ambienti della Questura non sono particolarmente felici: non si ha il sorriso se si entra là dentro, anche perché c’è sempre l’insicurezza di non avere tutti i documenti e la speranza di non dover attendere troppo tempo per ottenere il permesso di soggiorno. È stato così da sempre. Da anni la richiesta viene fatta a settembre per avere il permesso a gennaio”.
“Penso che sia bello vivere la diversità. È bello che siamo tutti diversi, forse è una frase fatta ma secondo me è veramente bello. Se fossimo tutti uguali non ci sarebbe il progresso. La diversità crea vita, confronto, crescita. Ecco, la diversità per me vuol dire crescere, capire gli altri, comprenderli e interagire con loro e scoprire altri modi di vedere la vita che magari non avevo preso in considerazione perché non ho avuto occasione perché i libri non dicono tutto”. 

ALESSIA che è campionessa ma non può gareggiare
Venti anni, nata in Russia, è arrivata a Reggio Emilia a tre anni.
 Cintura nera di taekwondo, vincitrice di due coppe Italia junior, un campionato italiano junior (nel 2015) e un campionato italiano categoria olimpica senior. Gareggia a livello internazionale, ma il suo percorso è bloccato perché non ha cittadinanza italiana. Il suo grande sogno è la partecipazione alle Olimpiadi con la nazionale italiana.
Sportivamente – dice il suo allenatore – si può considerare un apolide, non potrebbe gareggiare né per noi né per la Russia. Ai campionati europei di Varsavia nel 2018 ha gareggiato sotto la bandiera della Federazione mondiale come rifugiata. Il fatto è che non può gareggiare con l’Italia perché non è cittadina italiana, e non può gareggiare con la Russia perché non risiede lì.
Con la madre parla russo, ma “io penso in italiano, se devo pensare in russo mi devo sforzare”.
Dice:
“Ho provato rabbia, invidia, gelosia per chi è andata a disputare i campionati italiani.”
“Non capisco perché a causa di altri devo pagare io”.
“Sono demoralizzata. La carriera di Takewoondo finisce a 30 anni, io ne ho già 20. E secondo le nuove regole la cittadinanza mi arriva tra 4 anni. Ma io ho deciso di aspettare per gareggiare con i colori azzurri”.
“Un anno fa mentre stavo andando con la squadra in Germania, in aeroporto hanno visto che il  mio permesso di soggiorno era scaduto da un giorno. Non c’è stato nulla da fare, sono dovuta tornare a casa, non sono potuta partire con gli altri”.

SABRINE che oggi dice di essere fiera della sua carnagione
Ventun anni, origini tunisine, nata a Barletta, studia Scienze politiche relazioni internazionali.
Dice:
“Io dico sempre: io sono italo-tunisina. La mia identità è essere italiana, tunisina, mediterranea, nord africana, africana e araba. Poter essere tutto il contrario di tutto”.
“Rispetto a qualche anno fa oggi riesco a guardarmi allo specchio senza disprezzare il mio viso, il mio corpo o i miei capelli. La mia carnagione è diventata qualcosa di cui vado fiera. La cosa singolare è che la mia autostima non è accettata da alcune ragazze tunisine che conosco perché disprezzano quel mio modo di enfatizzare tutte quelle caratteristiche che mi rendono così fiera…La sola che cosa che ci può aiutare ad essere delle persone migliori è la cultura, vale per me, ma vale per tutti gli italiani”.
“L’inclusione, l’integrazione, l’interazione sono importanti perché più una persona viene esclusa da un gruppo più una persona nutrirà ostilità nei confronti di quel gruppo e più una persona non avrà identità ecco perché è importante la Ius soli, ecco perché è importante rendere queste persone italiane”.

 

1 Maggio 2022