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Nell’Udienza Generale del mercoledì Papa Francesco riflette sul recente Viaggio Apostolico in Marocco sottolineando il significato che ha avuto per lui questo pellegrinaggio: “un altro passo sulla strada del dialogo e dell’incontro con i fratelli e le sorelle musulmani” sulle orme di due Santi: Francesco d’Assisi e Giovanni Paolo II. Nella catechesi il Papa ripercorre le tappe della sua visita, spiegando come “servire la speranza, in un tempo come il nostro, significa anzitutto gettare ponti tra le civiltà”, soffermandosi sugli incontri con il re Re Mohammed VI, con la Chiesa marocchina e con i migranti.

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In studio Gennaro Ferrara propone l’ascolto di alcuni passaggi dell’Udienza Generale con l’approfondimento di Fra’ Pietro Pagliarini dei Frati Minori (Ofm) appena rientrato dal Marocco dove ha svolto 11 anni di missione nella città di Meknes prestando assistenza religiosa ai cristiani cattolici, accoglienza ai giovani e alle donne di strada, agli orfani e ai disabili.

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UDIENZA GENERALE

Non dobbiamo spaventarci della differenza
Papa: Egli ha voluto permettere questa realtà: ci sono tante religioni; alcune nascono dalla cultura, ma sempre guardano il cielo, guardano Dio. Ma quello che Dio vuole è la fraternità tra noi e in modo speciale – qui sta il motivo di questo viaggio – con i nostri fratelli figli di Abramo come noi, i musulmani. Non dobbiamo spaventarci della differenza: Dio ha permesso questo. Dobbiamo spaventarci se noi non operiamo nella fraternità, per camminare insieme nella vita.
Servire la speranza, in un tempo come il nostro, significa anzitutto gettare ponti tra le civiltà. E per me è stata una gioia e un onore poterlo fare con il nobile Regno del Marocco, incontrando il suo popolo e i suoi governanti.

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Non migranti ma persone migranti
Papa: Particolare attenzione ho dedicato alla questione migratoria, sia parlando alle Autorità, sia soprattutto nell’incontro specificamente dedicato ai migranti.
…Non si tratta di calare dall’alto programmi assistenziali, ma di fare insieme un cammino attraverso queste quattro azioni, per costruire città e Paesi che, pur conservando le rispettive identità culturali e religiose, siano aperti alle differenze e sappiano valorizzarle nel segno della fratellanza umana. La Chiesa in Marocco è molto impegnata nella vicinanza ai migranti. A me non piace dire migranti; a me piace più dire persone migranti. Sapete perché? Perché migrante è un aggettivo, mentre il termine persona è un sostantivi. Noi siamo caduti nella cultura dell’aggettivo: usiamo tanti aggettivi e dimentichiamo tante volte i sostantivi, cioè la sostanza. L’aggettivo va sempre legato a un sostantivo, a una persona; quindi una persona migrante. Così c’è rispetto e non si cadere in questa cultura dell’aggettivo che è troppo liquida, troppo gassosa.

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La Chiesa che è in Marocco
Papa: È un piccolo gregge, in Marocco, e per questo ho ricordato le immagini evangeliche del sale, della luce e del lievito (cfr Mt 5,13-16; 13,33) che abbiamo letto all’inizio di questa udienza. Ciò che conta non è la quantità, ma che il sale abbia sapore, che la luce splenda, e che il lievito abbia la forza di far fermentare tutta la massa.

Una singolare epifania del Popolo di Dio nel cuore di un Paese islamico. La parabola del Padre misericordioso ha fatto brillare in mezzo a noi la bellezza del disegno di Dio, il quale vuole che tutti i suoi figli prendano parte alla sua gioia, alla festa del perdono e della riconciliazione. A questa festa entrano coloro che sanno riconoscersi bisognosi della misericordia del Padre e che sanno gioire con Lui quando un fratello o una sorella ritorna a casa. Non è un caso che, là dove i musulmani invocano ogni giorno il Clemente e il Misericordioso, sia risuonata la grande parabola della misericordia del Padre. È così: solo chi è rinato e vive nell’abbraccio di questo Padre, solo coloro che si sentono fratelli possono essere nel mondo servitori di speranza.

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3 Aprile 2019