È uno scrittore giovane, non un “giovane scrittore”, qualifica ormai abusata. Giornalista, per L’Espresso, Repubblica, la Stampa, Paolo Di Paolo pubblica libri da quando era ragazzo, e senza padrini letterari, se non i maestri che lui ha cercato per passione, per la voglia di incontrarli di persona.
 Da Dacia Maraini a Elio Pecora, Da Montanelli a Tabucchi a Camilleri. A 21 anni ha esordito con un libro finalista al Campiello Giovani e che vinse il premio Italo Calvino. L’ultimo libro ha un titolo che colpisce, Tempo senza scelte, appena edito da Einaudi. Perché, dice lui, “il mio tempo non mi ha messo alle strette, alla prova”. Così la voglia di interrogare storie di uomini e donne di fronte a un bivio, che hanno voluto scegliere, e le loro scelte sono state pesanti: hanno messo a fuoco nella loro vita quell’istante fatale in cui si diventa ciò che si è scegliendo qualcosa, negando altre possibilità.

“Sono raccomandato, ma da me stesso. Non avevo in famiglia persone che scrivono, ero un pesce fuor d’acqua dal punto di vista della scrittura e della passione per la letteratura. Non è facile pubblicare un libro anche se non si è del “giro”, ma si può. Prima di fare lo scrittore volevo fare il giornalista. Seguendo la mia passione, ho voluto intervistare chi era riuscito a fare quello che forse sognavo anche io. Volevo capire come funzionasse il rapporto tra talento, ostinazione e le occasioni.”

pppaolo“Montanelli era un uomo di destra senza partito, irregolare, eccentrico e anticonformista. Ho avuto l’opportunità di conoscerlo a 15 anni. Lui aveva 90 anni. Ho avuto questa strana fortuna di toccare il suo itinerario poco prima che lui uscisse di scena. Montanelli aveva attraversato il ‘900 e le sue tempeste, con le sue speranze e le sue illusioni cadute.”

“I giornali parlano sempre ad un pubblico circoscritto e i loro articoli raggiungono più persone grazie alle nuove piattaforme e oltre al loro supporto cartaceo. Non è come i libri che hanno ancora vita lunga, i giornali stanno morendo e non riescono arrivare al pubblico dei ventenni che non hanno nessun tipo di rapporto con essi. Mi piace scrivere sui giornali e mi sono formato sul loro mito, non conta però più il supporto, ma la capacità di rendere speciale una storia o una prospettiva: è questa la sfida del giornalismo. “

“Noi europei siamo un po’ al riparo della pressione della storia. Basta guardare un po’ al di là dei nostri confini per renderci conto di come la storia possa metterti alle strette, costringendoti a delle scelte o rendendo radicali o drammatiche le tue scelte.”

“Chi come me è nato negli anni Ottanta e Novanta ha una libertà maggiore rispetto alle generazioni precedenti. Ancora di più chi è nato dopo il 2000, ma questa libertà è anche un rischio perché assoluta, incondizionata, senza paletti e senza limiti. La libertà deve avere una strada segnata, altrimenti si rischia di perdersi.”

“Può sembrare vecchio dirlo, ma si impara ponendosi questioni morali, formandosi una coscienza morale. Io non devo solo chiedermi cosa voglio, ma anche cosa sono; non solo quello che voglio fare, ma quello che voglio essere. Significa eliminare della possibilità, definire il perimetro della propria vita in virtù dei “no” che sono disposto a dire. È in virtù dei no che riesco a dire che definisco la mia identità morale ed è questa la grande difficoltà oggi.”

“Mettersi in cerca della verità per cui vivere e morire dà un senso alla vita anche se non la si trova. Dentro la scrittura trovo dei pezzi di questa verità.”

Ho fame della vita degli altri, mi interessa chi ho davanti. Mi metto continuamente nei panni degli altri. L’immedesimazione e l’immaginazione mi portano ad inventare storie su chiunque incontri, tanto che vorrei chiedere se coincidono con la loro realtà.”

“L’eroismo è sempre a posteriori e l’etichetta di eroe la attribuisce chi resta, mentre si compie qualcosa di eroico non si è consapevoli del gesto. Il nome di Falcone, per esempio, sta su scuole , piazze e strade. Lui ha compiuto un gesto di ostinata coerenza rispetto a quello che credeva fosse la verità per cui valesse vivere e morire. Il sacrificio si è compiuto ed è divenuto il nostro eroe, ma anche il nostro alibi: dove lui è stato eroe, io non lo sono. Il punto è trovare una via praticabile che non sia quella dell’eroismo come programma e allo stesso tempo non accontentarsi di quello che si è. La pratica della quotidianità può renderci pienamente noi stessi sempre e ovunque.”

“L’aver scritto libri su temi sociali o politici non misura l’impegno di uno scrittore. Ciò che scrivi deve avere un attrito con la realtà circostante: un sommovimento, una sollecitazione, una domanda. Se io penso alla letteratura solo come intrattenimento, sto perdendo rispetto ad altre alternative come le serie televisive. Se i romanzi seguono questa via perdono in ogni caso. Lo scrittore deve trovare la sua specificità nelle parole che possano smuovere.”

ppaolo“Il fatto di affermarsi certi di qualcosa è un po’ pericoloso. Mi interessano le persone che mettono in dubbio anche loro stesse. Non significa vivere nell’indistinto o non prendere posizione, ma farsi la domanda che rovescia la prospettiva, rimettendosi in discussione e in cammino.”

“La Fede va allenata quotidianamente, in Dio e negli altri.”

Io scelgo di non cedere alla paura. Sento che l’irrompere dell’imprevisto ha cambiato la nostra storia e la nostra vita. Ci abbiamo messo quindici anni a metabolizzare l’11 settembre 2001, ma oggi quel tipo di evento sta con altre facce nella nostra quotidianità. Non so come non si ceda alla paura, ma so che devo difendermi dall’idea che la mia vita possa essere cambiata dalla paura.”

Siamo più fragili di chi ha vissuto le guerre del ‘900. Sento che c’è stato uno slittamento, un cambiamento nelle generazioni: c’era una attrezzatura morale all’atto nascita, un mondo che ti formava a non temporeggiava. Non rimpiango quel tempo perché non l’ho vissuto, ma lo interrogo perché a vent’anni mio nonno era già qualcosa senza esserselo chiesto. Io a trent’anni mi chiedo ancora chi io sia.”

“C’è una costruzione molto solida basata sull’ironia. Qualsiasi discorso che prenda anche un minimo sul serio l’esistenza e l’altro può essere fatto deflagrare dall’ironia a tutti i costi, tradotta in sarcasmo. Manifesta la paura di essere messa in discussione. Nei social questo è abbastanza lampante, c’è una corrente di sarcasmo su tutto, non facciamo che ridere di qualcosa per neutralizzarne l’impatto, perché abbiamo paura di prenderci sul serio e ci difendiamo attraverso questa maschera. Siamo stati indotti ad avere paura di apparire sentimentali a prendersi la responsabilità delle emozioni che proviamo. Dal momento che guardi una persona negli occhi non puoi non sentire la vocazione di prendermi cura dell’altro. Quando il filtro dei social ti permette di insultare qualcuno, stai negando la sua umanità.”

“Oggi c’è un disincanto collettivo, in passato era un punto di arrivo dopo aver visto franata una illusione. Oggi a vent’anni molti hanno un disincanto preventivo per cui nulla cambia e può cambiare. Da questo bisogna difendersi con la stessa forza perché se una società diventa cinica progressivamente si inaridisce.”

È come se noi ci fossimo cibati di minestra e delusione, quella dei nostri padri. Ma nel momento in cui i padri te la consegnano come l’unica eredità spendibile questo produce un grave effetto. I maestri ci sono, ma bisogna darsi da fare e cercare i valori.

“Quando si parla di gesti di bontà si rischia di essere retorici, ma c’è una possibilità alternativa che è quella della gentilezza: ci stupiamo delle cose gentili, ma come è possibile questo?”

ppaolop“Nel momento in cui stai leggendo un libro stai compiendo lo sforzo di metterti nei panni di qualcun altro. La fatica che fai è capire chi si muove nelle pagine, te lo stai costruendo e immaginando, esci da te stesso. In questo senso la letteratura è una forma di contropotere, perché sa cogliere anche le fragilità delle persone rendendoti coscienze di essere umano come i protagonisti delle storie, sia ricco o miserabile.”

“Scelgo di stare attento a non definirmi contro qualcosa e a contestare, non voglio intervenire come in molti fanno quando c’è qualcosa di negativo da dire. Ogni tanto voglio essere per qualcosa, dire anche dei sì. Qualche volta sono riuscito a dire sì a qualcuno che mi chiedeva generosità grande e apertura.”

Rivedi l’intervista qui

A Cura di Giuliano Cattabriga

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2 Novembre 2016