Un uomo dell’Altopiano, maratoneta, giornalista, prete. Il carcere, la sua casa, per scelta. Don Marco Pozza è l’ospite di Soul, domenica 6 novembre alle 12.20 e alle 20.30. pozzaNel giorno del Giubileo dei Carcerati, lui che è cappellano del carcere Due Palazzi di Padova, si racconta e racconta l’Inferno. Dove tuttavia si trovano, cercandole, umanità e fede.  Dove si mettono insieme misericordia e giustizia.  Dove si impara a ricevere il perdono, e a darsi perdono.  Non è passato molto tempo da quando Marco Pozza era don Spritz, nomignolo affibbiatogli perché andava a cercare i giovani là dove si trovavano, nei bar dell’aperitivo serale. Non per fare l’amicone, ma per  guardare alle loro domande più vere. Studioso di Saint Exupéry, che non è un autore zuccheroso, don Marco sa che per conoscersi e volersi bene  bisogna addomesticarsi, come la Volpe insegna.

“Sono lì per un debito di riconoscenza. Per una vita ho disprezzato la gente che sbaglia e quindi va in galera e dentro di me ho sempre ragionato dicendo “Questa gente dovrebbe essere chiusa dentro e la chiave buttata nel mare”. Poi il Signore, non essendo riuscito a fare di me un ragazzo umile, per amore mi ha umiliato. Per sbaglio ho celebrato una messa nel Carcere Regina Coeli di Roma e lì  ho capito che se volevo essere uomo dovevo ridare indietro almeno gli anni che avevo usato per banalizzare questa gente che non conoscevo.”

“In carcere c’è la fede perché c’è la disperazione, e di conseguenza mi piace pensare che la disperazione sia il terreno migliore per  mettere a dura prova la fede e quindi se emerge la considero una vera fede. “

Il perdono passa anche attraverso la giustizia, più di quanto noi pensiamo. Ma una giustizia che però sia condita anche dalla misericordia: una giustizia senza misericordia diventa tortura. “

“Laddove la giustizia è abbinata con la misericordia fiorisce anche l’amore, che è la condizione prima per poter anche arrivare un giorno al concetto del perdono.”

“Secondo me c’è più misericordia tra la gente che c’è tra noi preti. Io, se devo essere sincero, ho imparato che cosa sia la misericordia vedendo i detenuti davanti allo specchio quando parlano di loro stessi. Perdonarsi quello che secondo me è imperdonabile mi ha fatto nascere la domanda “Ma io sono veramente misericordioso come dico a parole?” In questo senso ho imparato da loro cosa sia la misericordia.”

Il carcere è la mia parrocchia, una parrocchia che non ho scelto: ma neanche Mosè non aveva scelto Israele. Me la sono trovata e ci sto condividendo un pezzo di strada.”

pozzam“Che cosa nasce dall’incontro? Nasce a volte la sorpresa di vedere che un pensiero che si aveva sul detenuto non corrisponde alla realtà, altre volte nasce un dubbio: ovvero  verificare se quello che sempre si pensava corrisponde alla vera presenza di un carcerato. Quindi se uno mi chiedesse cosa nasce dallo scontro? Nasce un’ulteriore domanda:  ”Di fronte a questa presenza, di fronte al male, di fronte all’errore, allo sbaglio, che cosa dice tutto questo alla mia vita?”

“Nella Messa che celebro in carcere il momento della preghiera dei fedeli  dura tanto perché, seppur con fatica, sto riabituandomi con la mia gente ad inserire in quel brevissimo spazio di tempo il nome, il cognome, la storia di tutte quelle persone che non ci sono più per loro responsabilità. La mia gente ha storie frastagliate, sono strade slabbrate, sono storie di omicidi… Voglio che siano ricordate perché se noi facessimo pace con la nostra memoria allora potremmo diventare qualcuno che sa ricominciare. Se della nostra memoria ne facciamo un tabù anche la speranza  e il futuro rischiano d’incepparsi.”

“La prima cosa che cercano i carcerati, e questo è lo sbaglio delle carceri, è di uscire dal carcere. In realtà chi decide di vivere da protagonista la sua storia  non sogna di uscire dal carcere, sogna di ritrovare la libertà e la libertà è molto più grande di una semplice uscita dal carcere. Può essere il lavoro, la scuola, una passione, un hobby, un confronto ma l’importante è alzarsi la mattina e dire “Oggi mi alzo perché” da lì parte tutto. A volte la disperazione ammazza, ti fa stare su una branda tutta la vita e per troppa disperazione l’uomo potrebbe cercare di mettersi alla ricerca della speranza.”

“Non è facile distaccare l’uomo che vive dall’uomo che ha compiuto quel reato. Don Oreste Benzi , che per tutti noi che lavoriamo in carcere ha lasciato un’eredità mostruosa, diceva sempre che l’uomo non è il suo reato.  Da questo  punto di vista il docufilm girato nel Carcere di Padova e trasmesso da TV2000, Mai dire mai, è stato anche per me una scoperta. Prendere una storia e renderla protagonista non è rendere protagonista il male ma  il campo di battaglia dove il bene e il male lottano strenuamente, e mostrare come il bene certe volte, più di quelle che pensiamo,  riesce a fare lo scacco matto contro il male”.

“Tanti cristiani  pensano che prima dei bisogni dei carcerati vengono quelli della gente per bene. Davanti a questo modo di pensare non mi posso più arrabbiare, perché questo era il mio modo di ragionare. La differenza per me è stato un incontro:  con la vera presenza del detenuto, non con la letteratura che c’è. Oggi potrei dire solo “Accetta l’invito ad incontrarli. Dopo di che tu esci, continua a ragionare come hai ragionato oppure  vedi se c’è qualcosa che non torna”. Forse bisogna domandarsi cosa vuol dire oggi essere cristiani. Se è solo andare a Messa, non uccidere nessuno, più o meno non rubare allora siamo in tantissimi. Ma se essere cristiani significa fare un lavoro di conversione della propria memoria e degli atteggiamenti  probabilmente la secolarizzazione è arrivata prima nel Nord Est che nel resto dell’Italia.”

“Davanti a  un uomo che ha ucciso un altro uomo mi metto in ascolto e letteralmente perdo ore a sentire le loro storie. Così capisci che si può uccidere  per tantissimi motivi, capisci anche che uno uccide perché prima è già morto dentro. Di conseguenza una volta che ti è morto il cuore, ti è morto il desiderio, vedi la morte dovunque.”

pozzamo “La giustizia senza misericordia diventa tortura, la misericordia se non c’è giustizia diventa dissoluzione. Siccome noi non dobbiamo e non possiamo giustificare il male la cosa difficile da noi è cercare di armonizzare la giusta dose di misericordia e la giusta dose di giustizia. Il grosso dramma oggi è che si parla troppo del carcere anche in quest’anno della misericordia, e troppo poco delle vittime che ruotano attorno al mondo del carcere. Questo lavoro delicatissimo di mediazione penale per cui chi ha compiuto il reato venga messo di fronte a chi soffre per il reato compiuto è la Rieducazione verso cui tutti dovremmo tendere. Per me il giudizio non ha un connotato esclusivamente negativo, perché formulare un giudizio è anche un nostro modo per formulare un pensiero. Quello che mi sforzo di fare io come uomo e come prete è che il giudizio non sia intralciato dalla cattiveria, dalla malizia, dalla condanna prima ancora di aver incontrato una persona. “

“Come mettere insieme Giubileo e carcere, cosa c’è da giubilare? C’è da giubilare che una pecorella su cento ha accettato di lasciarsi trovare da Cristo. Per me questo è un motivo validissimo, perché se guardiamo i numeri siamo una squadra di perdenti, il male continua a divampare, anzi il male cresce dentro al carcere. Ma per un figlio che torna a casa penso non ci sia spettacolo più bello di vedere questa storia caduta in terra  si rimette in piedi e torna a cantare. Da questo punto di vista è un giubilo.”

Il cristianesimo è una storia di amicizia, e sono convinto che io e tanti altri volontari, catechisti, diaconi, il vescovo don Claudio,  siamo strumenti per avvicinare la gente a Cristo. Sogno sempre che si avvicinino a Cristo non a don Marco, perché se si avvicinano a don Marco rimarranno delusi, se invece don Marco diventerà la strada che li porta a Cristo  non lo abbandoneranno più.”

“Davanti a coloro che non si pentono, che sono anzi orgogliosi del  loro status in carcere,  non so come si possa esercitare la misericordia, ma d’altra parte non so come li si potrebbe avvicinare senza misericordia.  Voglio essere irrazionale nel mio sacerdozio in carcere, voglio credere che il Signore riuscirà a far cambiare ciò che per me è incambiabile.”

“Anche davanti al più grande criminale io devo stare in agguato, perché basta un secondo, ma riempito di amore vero, che io forse non riesco ancora a vivere, che veramente ti cambia la vita. Questo per me è il dramma e la bellezza di vivere la mia vita in carcere.”

“In mano il Signore mi ha dato un sacerdozio molto particolare. Devo stare attento perché se tradisco ci sono tanti giovani che potrebbero rimanere delusi e questa è una grossa responsabilità., è  un peso che tanti giorni il Signore mi trasforma in opportunità, non è facile rimanere con gli occhi fissi sulla strada che il Signore ha tracciato per te.”

“Della Chiesa qualche volta sono deluso, sono amareggiato e a volte sono anche incazzato. Quando queste tre cose si inanellano  e diventano  un dramma , e  mi viene voglia di andarmene dalla Chiesa, mi ricordo che ci sono sacerdoti come don Fortunato Di Noto, don Oreste Benzi e don Luigi Ciotti e penso a storie di gente anonima che nessuno conosce che ha sputato sangue per rimanere fedele a Cristo nonostante gli scandali. E resto, e cammino.”

A Cura di Giuliano Cattabriga

Questo contenuto non è disponibile per via delle tue sui cookie

3 Novembre 2016