download5Maria Falcone da venticinque anni è anima della Fondazione che porta il nome del fratello, il magistrato campione della lotta antimafia, che tutto il mondo ci invidia per la sua sagacia e la sua rettitudine. Ucciso nel massacro di Capaci il 23 maggio del 92, insieme alla moglie Francesca Morvillo, magistrato anch’essa. Giovanni che non era un eroe, ma un uomo che credeva nella giustizia, un uomo che ha dovuto resistere a incomprensioni, accuse, invidie, depistaggi, che ha vissuto la solitudine più feroce e legami di amicizia commoventi, come con Paolo Borsellino, testimone consapevole che si trattava di una lotta da pagare col sangue.

Maria Falcone racconta chi era il fratello, cos’ha sofferto, la sua gioia di vivere, attraverso i ricordi del bambino che è stato, con la certezza che lo spirito cristiano della sua educazione ha mosso tutte le azioni della sua vita.

“ Non mi sono mai fermata perché lo dovevo a Giovanni. Subito dopo la sua morte accanto al dolore della sorella ho provato la disillusione della cittadina Italiana, con la sua morte e soprattutto dopo la morte   di Paolo Borsellino che mi aveva detto “continuerò io il suo lavoro”, la mia disperazione era grande:  molte erano state le disillusioni,  le vittorie e soprattutto le sconfitte. Non volevo che tutto  fosse dimenticato. Non volevo che la lotta alla mafia, che tanto aveva voluto Giovanni che pensava fosse un male che stava mettendo in pericolo la democrazia del nostro Paese venisse annullato e dimenticato. MI è tornata in mente una sua frase: “Gli uomini passano, le idee restano…”: vuole dire a tutti noi, io morirò però voi tutti dovete continuare a portare avanti le mie idee. Per me è il suo testamento morale. E poiché io ero insegnante di diritto nelle scuole ho capito che potevo incidere sulla mafia come fenomeno culturale. “.

“Tanti furono gli attacchi e le sconfitte tanto che, fu chiamato il giudice più trombato d’Italia e purtroppo lo è stato ed è stato lasciato solo. Ma il fatto stesso che i giovani continuino a vedere in lui l’esempio di un uomo che ha saputo sacrificare la sua vita per il bene comune, pure non essendo un fervente cattolico ma un laico che credeva nell’amore del prossimo, è bello ed emozionante”.

“Mi dà fastidio usare il termine eroe, ma lui lo è, lo è stato perché ha lavorato sapendo che doveva morire”.

“Fin da piccolo la sua attitudine particolare era quella di cercare di portare a compimento qualsiasi cosa avesse l’obbligo di fare al meglio, non si accontentava mai, ed è quel che  ha fatto nel suo lavoro con una determinazione che ad alcuni è apparsa ossessiva…Ma sempre con una grande umanità, tanto è vero che tutti quelli che volevano pentirsi, desideravano parlare con lui… e c’è una frase in un documentario su Giovanni in cui lui dice: ho sempre rispettato anche chi aveva compiuto tantissimi delitti:  mai dimenticare che anche in loro c’è un barlume di dignità”.

“Mi ricordo che, quando ho conosciuto Tommaso Buscetta mi disse: ‘Tutti parlano ora di me come di un grande amico del giudice Falcone. Magari lo fossi stato, ma lui era sempre al di là del tavolo, eravamo da parti opposte’. Buscetta mi disse che  Giovanni gli aveva cambiato completamente la vita, perché  gli aveva dato un senso dello Stato”.

“ Giovanni si è inventato tutto nella lotta alla mafia; quando lui arriva a Palermo la mafia sembrava quasi non esistesse,  non se ne faceva nemmeno il nome; i vari uomini politici non la nominavano, la Chiesa non la conosceva; Giovanni con il primo processo  contro il boss Rosario Spatola si rende conto della transnazionalità del problema mafioso e quindi inizia una collaborazione inusuale con l’FBI, nella certezza che non basta più fare processi, ma i processi devono andare a buon fine e devono produrre le condanne; il Maxi processo ne è la prova”.

“Purtroppo i suoi nemici principali furono proprio i suoi amici magistrati. Molti di loro non sono stati leali,  e alcuni gli sono stati davvero amici,  come Chinnici, Caponnetto, Guarnotta, Grasso, Aiala …

“Quel 23 maggio del 92 è confuso e nebuloso nella mia mente perché io ho cercato di rimuoverlo,   ma la cosa che ricordo di più è il volto di mio marito, da cui ho capito subito che era successo qualcosa a Giovanni;  non ho guardato le immagini in tv che davano la notizia, ho solo avuto l’impeto di andare in ospedale per dargli aiuto;  ho chiamato la Polizia e gli chiesi dove l’avevano portato e loro mi dissero: chi ci dice che lei è sua sorella?  Sono scappata in ospedale, la radio aveva detto quale, e all’ingresso, sulla scalinata ho incontrato Paolo che mi ha abbracciata e mi ha detto: ‘ è spirato tra le mie braccia 10 minuti fa’ . Non pensavo potesse morire, io volevo aiutarlo… dopo non ricordo più niente di quel giorno”.

“Ho vissuto questi 25 anni testimoniando ai giovani ed oggi  l’aula bunker che ricordiamo piena di criminali, il 23 maggio si riempie di ragazzi che nel ricordare riscrivono la storia, con il desiderio di un paese migliore. Vedono in Giovanni il servitore dello Stato che credeva nei valori con i quali noi siamo cresciuti, secondo quel detto meraviglioso: quando la Patria chiama bisogna andare.  Giovanni è stato chiamato ed è andato”.

16 Maggio 2017