Anacoreta e padre dei monaci Camaldolesi, originario di Ravenna, desideroso di abbracciare la vita e la disciplina eremitica, girò l’Italia per molti anni, costruendo piccoli monasteri e promovendo ovunque assiduamente tra i monaci la vita evangelica, finché nel monastero di Val di Castro nelle Marche mise felicemente fine alle sue fatiche.

Nasce a Ravenna, da una nobile famiglia di duchi, nel 951 e muore a Fabriano il 19 giugno del 1027. Rimase sconvolto da adolescente per un duello di sangue che vide coinvolti il padre e il cugino, decidendo in seguito a questo fatto di farsi monaco. Rendendosi conto però che i monaci non erano animati da vero amore per il prossimo ma piuttosto da smania di potere, seguì l’abate Guarino nel monastero di Sant Miquel de Cuixà.

Qui vi restò oltre dieci anni per poi fare ritorno in Italia dove, con un gruppo di discepoli, fondò il Monastero di San Michele Arcangelo vicino a Forlì ma da qui fu ben presto cacciato per la sua tendenza a redarguire i monaci che, a suo dire, non erano in linea con gli insegnamenti di Cristo. Ritornò, così, alla vita da eremita e nel 1001 si trasferì a Montecassino dove visse per alcuni anni in totale solitudine. In seguito, si spostò fra il Lazio e l’Umbria finché non si trasferì a Camaldoli dove fondò il monastero e la Congregazione camaldolese, aggregata all’ordine dei benedettini.  

La storia di san Romualdo ci è stata tramandata da San Pier Damiani che, circa 15 anni dopo la sua morte, raccontò la burrascosa vita del santo che viene festeggiato il 19 giugno in uno scritto intitolato Vita di San Romualdo.

Nell’iconografia cristiana il santo viene sempre raffigurato con un bastone pastorale e una scala, a simboleggiare la difficoltà con la quale affrontò la sua battaglia per una chiesa pura.

19 Giugno 2019