Martedì in seconda serata

MONEYYY
Se siete fra coloro i quali se sentono nominare termini come benchmark, broker, dow jones, nasdaq e subprime pensano a possibili calciatori della nazionale inglese, o se sentono elencare monosillabi come fund, swap, btp, mib, bond, spread pensano a uno scioglilingua rap, se siete fra coloro i quali pensano ancora che le azioni siano solo semplici forze produttrici di effetti e la borsa un banale contenitore, se non sapete cosa sia una Sicav, se non capite perché i mercati fibrillano, volano o crollano, producono milionari o determinano suicidi, dominano ormai da decenni l’informazione e persino le sorti di una nazione, se siete fra coloro i quali non capiscono come possa il denaro produrre altro denaro come per palingenesi o generazione spontanea, insomma se rientrate nella categoria di persone che nutrono una profonda e irreversibile idiosincrasia
nei confronti del rutilante circo della finanza, allora Money! fa per voi.

Questo l’eloquente sottotitolo che richiama un famoso film di Woody Allen: “Tutto quello che non sapete sul denaro perché nessuno ve lo dirà mai e d’altronde è meglio non saperlo, perché se lo sapeste, sarebbe peggio”. Evidente la logorrea di questo
spettacolo comunque denso come un buco nero di notizie, svelamenti, agnizioni; una sorta di happening in realtà che vuole coinvolgere subito il pubblico rivolgendo una domanda che la dice lunga sulla colpevole alienazione e maligna mistificazione
operata da una certa finanza negli ultimi anni: “Può un uomo di indole pacifica diventare violento e distruttivo?”. La risposta è sì se si viene truffati e raggirati da chi, deputato a valorizzarli, ha invece approfittato dei risparmi di una vita e li ha consapevolmente bruciati.

Un altro più recente e meno popolare film viene indirettamente evocato: El desconocido. Ma la narrazione che i quattro eclettici e iperattivi interpreti francesi sviluppano in un’ora e mezza attinge esclusivamente a nulla di fittizio e a tutto di reale, concreto, provato e circostanziato. Money! (premio della critica 2014, debutto nazionale al Teatro Nuovo per il Napoli Teatro Festival, regia di Françoise Bloch, non nuova a incursioni negli anfratti ambigui dell’economia planetaria) è frutto di una scrittura collettiva su base documentaria e inizia con un uomo che entra in banca e chiede dove sono finiti i suoi soldi. Una domanda apparentemente banale che in realtà disvela aberranti meccanismi e abissali inganni. E si entra in una giostra vorticosa in cui gli attori cambiano ruoli girando su sedie a rotelle, si conosce il prontuario delle “parole magiche” che ogni buon trader sciorina come un abile imbonitore, illusionista e manipolatore, si vede sullo sfondo l’antico videogame di Pacman, ovvia metafora di “omini” condannati a divorare tutto, si viene a sapere di assicurazioni sulla vita che scommettono sul decesso di malati di cancro, e se ne esce non “veramente euforici”, come recita una volgare e ingannevole pubblicità che impazza su internet invitando a fare soldi coi soldi, ma “incavolati neri”, altra citazione cinematografica dal film Quinto potere, perché inaccettabile il vuoto giuridico che non prevede in certi casi il reato di crimine economico.

Teatro civile, insomma, che, pur con qualche inevitabile tecnicismo ed evitabile dilatazione specie nelle parti “a soggetto”, ha il merito di illuminare la mente sulle moderne, sofisticate forme di avidità economica di un sistema dalla coscienza daltonica, capace solo di riconoscere “il colore dei soldi”.

di Michele Sciancalepore, fonte Avvenire

30 Giugno 2016

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