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La verità su come andarono i fatti la lasciò trapelare proprio Nikita Kruscev nel decimo anniversario dalla morte di Stalin nel 1963. Come mai questa decisione? Come mai, si chiede lo stesso reporter che firma l’articolo per il settimanale diretto da Nando Sampietro, Kruscev vuole togliersi “il bue dalla lingua”? Lo si deve al suo carattere loquace oppure al suo bisogno di liberarsi da un peso troppo pesante? Andiamo per gradi. Ciò che avvenne nel marzo del 1953 Kruscev lo rivelò a spizzichi e bocconi ad alcuni suoi stretti collaboratori. Al riguardo una premessa: le condizioni atmosferiche. L’inverno del 1953 a Mosca era particolarmente freddo. Negli ultimi giorni di febbraio c’erano state abbondanti nevicate e venti siberiani avevano flagellato la steppa. Gli spalatori erano apparsi da poco per le vie della capitale moscovita, ma un’ondata di gelo provocò non pochi ritardi all’opera degli spazzaneve. Dunque non era inusuale assistere al blocco delle strade per via di enormi mucchi di neve ammassata. La notte del primo marzo fu il momento peggiore. Alla chiusura degli uffici i cittadini moscoviti si rinchiusero in casa. Kruscev era andato a letto, ma era sveglio quando il telefono squillò. Era mezzanotte.  

Il dittatore era riverso sul pavimento, in una “dacia” fortificata a 84 chilometri da Mosca. Sette uomini lo videro e tacquero per tre giorni prima di dare la notizia al popolo sovietico. Così l’incipit del sommario a pagina 28 di Epoca del 7 aprile 1963. Il settimanale pubblicava l’intervista di Georges Kessel a Nikita Kruscev che raccontava la morte di Joseph Stalin. La grande fotografia in bianco e nero della salma esposta nella “sala delle colonne” del Palazzo Sindacale di Mosca immortalava per sempre colui che aveva fatto entrare l’Urss nella Seconda guerra mondiale, fermando l’avanzata delle truppe nazi-fasciste. La foto fece il giro del mondo. Si era in piena Guerra fredda e sulla morte di Joseph Vissarionovich Dzugasvili detto Stalin non mancarono dubbi e perplessità. Secondo i comunicati ufficiali Stalin era morto al Cremlino il 5 marzo 1953. Ma il “giallo” iniziava proprio lì. Infatti, vi erano stati tre comunicati ufficiali: il primo in data 2 marzo del 1953 annunciava: “Nella notte dall’1 al 2 Stalin è stato colpito da emorragia cerebrale”. Il secondo, diramato l’indomani, precisava: “Stalin soffre di disturbi respiratori che, a tratti, assumono un carattere preoccupante”. Infine il terzo, datato 5 marzo, concludeva: “Il suo stato si è aggravato nel pomeriggio di oggi e alle 21.30 Stalin è deceduto”. Dunque uno scarto tra versione ufficiale e verità storica? Forse sì. Forse questo scarto potrebbe essere quantificato, secondo quanto emerge dall’inchiesta di Georges Kessel, proprio in tre giorni e 84 chilometri.  

11 Marzo 2019