LUNEDÌ MARTEDÌ GIOVEDÌ ORE 20.50

E’ una giornata siciliana di quelle in cui l’autunno stenta ad arrivare il 21 settembre del 1990. Il giudice Rosario Livatino percorre il viadotto Gasena, lungo la SS 640 Agrigento-Caltanissetta, senza scorta, a bordo della sua Ford Fiesta. Sta andando in Tribunale. E’ in questo tratto di strada che avviene l’agguato mafioso ad opera degli uomini della “stidda”. Era nato a Canicattì, Livatino, il 3 ottobre 1952, dal papà Vincenzo, laureato in legge e pensionato dell’esattoria comunale, e dalla mamma Rosalia Corbo. Rosario conseguì la laurea in Giurisprudenza all’Università di Palermo il 9 luglio 1975, a 22 anni, a pieni voti.  Dal 29 settembre ’79 al 20 agosto ’89, come Sostituto Procuratore della Repubblica, si occupò delle più delicate indagini antimafia, di criminalità comune ma anche (nell’85) di quella che poi negli anni ’90 sarebbe scoppiata come la “Tangentopoli siciliana”. Fu proprio Rosario Livatino, assieme ad altri colleghi, ad interrogare per primo un ministro dello Stato. Dal 21 agosto ’89 al 21 settembre ’90 Rosario Livatino prestò servizio presso il Tribunale di Agrigento quale giudice a latere e della speciale sezione misure di prevenzione.

Intenso e toccante il passaggio che si può leggere nell’agenda di Livatino del 1978. C’è un’ invocazione sulla sua professione di magistrato, datata 18 luglio, che suona come consacrazione di una vita: “Oggi ho prestato giuramento: da oggi sono in magistratura. Che Iddio mi accompagni e mi aiuti a rispettare il giuramento e a comportarmi nel modo che l’educazione, che i miei genitori mi hanno impartito, esige”. Fede e diritto, come Livatino spiegò in una conferenza tenuta a Canicattì nell’aprile 1986 ad un gruppo culturale cristiano, sono due realtà “continuamente interdipendenti fra loro, sono continuamente in reciproco contatto, quotidianamente sottoposte ad un confronto a volte armonioso, a volte lacerante, ma sempre vitale, sempre indispensabile”.

Questo contenuto non è disponibile per via delle tue sui cookie

Giovanni  Paolo II, in occasione  della sua visita pastorale, in Sicilia il 9 maggio del 1993, dopo aver incontrato ad Agrigento i genitori di Livatino, dirà degli uccisi dalla mafia: “Sono martiri della giustizia e indirettamente della fede”. Nella messa di commiato, il suo vescovo lo descrisse come giovane “impegnato nell’Azione Cattolica, assiduo all’Eucaristia domenicale, discepolo fedele del Crocifisso”. E’ attestato il suo impegno affinché, nell’aula delle udienze, in tribunale, ci fosse un crocifisso. Ogni mattina, prima di entrare in tribunale, andava a pregare nella vicina chiesa di San Giuseppe.

 

Vincenzo Grienti 

20 Settembre 2018