Martedì in seconda serata
Davide Baldrati in “Slot Machine” di Mario Martinelli
Davide Baldrati in “Slot Machine” di Mario Martinelli

“Se avete in animo di conoscere un uomo, allora non dovete far attenzione al modo in cui parla (…) Guardate piuttosto come ride”. Marco Martinelli si affida alle parole di Dostoevskij per invitare a entrare dentro l’animo di un ormai irredimibile giocatore d’azzardo. Dalla risata traspare tutto il ventaglio delle emozioni, dagli entusiasmi genuini alle malcelate ansie.Quella dell’anonimo “uomo delle slot” è acre e funerea. Per cinque minuti ride ininterrottamente al buio e comunica tutto l’abisso in cui è caduto e dal quale non ne uscirà vivo. È stata una scelta mirata, quella del fondatore del Teatro delle Albe, di dare avvio al monologo Slot Machine (fino a domenica 8 novembre a Milano all’interno dell’ex  Ospedale psichiatrico “Paolo Pini”) senza parole e senza luce, proprio per farci sentire spiazzati e disorientati di fronte a un dramma che spesso classifichiamo con fuorviante sicumera: il giocatore compulsivo è vittima dei suoi vizi, è un perdente, avido di denaro, irresponsabile masochista e distruttore di relazioni. Ma queste sono solo le conseguenze. Ciò che forse non si sa di questa devastante piaga sociale, che ci vede primi in Europa e terzi nel mondo, che nel 2014 ha mosso 84,4 miliardi di euro, che ha creato 800 mila “giocatori patologici”, che è contro i princìpi fondamentali della Costituzione ma vede lo Stato complice interessato, è che il giocatore d’azzardo non gioca x vincere ma per isolarsi da tutto e tutti, al sicuro da giudizi, di fronte alla sua macchinetta o a un poker online, al di fuori della vita, immerso nel nulla. Allora sotto questa luce il giocatore d’azzardo diventa simbolo di un’alienazione dalla quale nessuno può ritenersi immune, metafora tremenda dell’evasione e della dipendenza che se non è dal gioco può esserlo dal denaro, dal potere, dal sesso, dalla vanità. L’obiettivo di Martinelli è, pertanto, quello di responsabilizzare lo spettatore, costringendolo a identificarsi col giocatore, invitando a non eludere la scelta che quotidianamente siamo chiamati a compiere: scommettere sulla pienezza della vita o sul vuoto dell’ego. Che riesca a realizzare tale coinvolgimento attraverso questa sua ultima creazione non è scontato. Le certezze sono: la poesia e la chiarezza del monologo mentale del giocatore che, ferito a morte dai suoi, dal fossato di una campagna della Romagna in cui è stato gettato, delira e ripercorre la parabola infernale della sua schiavitù: dal legame morboso con la prima slot, “Pharaoh’s Tomb”, la “Tomba del Faraone” (nulla di più fatalmente profetico), all’eredità sperperata, agli imbrogli, alle finanziarie, agli usurai, al buio. Alessandro Argnani, storico attore delle Albe, non si risparmia e regge benissimo l’ora scarsa della sua perfomance, ma gli manca quella forza centripeta indispensabile per calamitare lo sguardo e l’animo dello spettatore, per tirarlo dentro la sua fossa, anche perché Martinelli non gli rende la vita facile chiedendogli una recitazione leggera e leggiadra, straniante e senza alcun appiglio alle corde del pathos. Di certo si percepisce il carattere esperienziale dell’intera operazione: Martinelli, incontrando molti “ludopatici”, ha trovato “un’umanità di una bellezza assoluta, capace di una sincerità radicale, in grado di guardare dentro il proprio abisso senza ombre di ipocrisia”. Ex giocatori che lo hanno persuaso a giocare una partita teatrale profondamente interiore e spirituale. Un azzardo stavolta vitale, comunque fecondo come “La scommessa” di Pascal.

di Michele Sciancalepore, fonte Avvenire

 

30 Dicembre 2015

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