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Il 1° dicembre dello stesso anno Mikhail Gorbaciov si recò in Vaticano per incontrare Giovanni Paolo II. Nel corso di quell’incontro, ricordato proprio da Lech Walesa in occasione del trentesimo anniversario di Solidarnosc celebrato nel 2010, l’Unione Sovietica e la Santa Sede posero la prima pietra per avviare relazioni diplomatiche. Lo storico incontro del 1989 tra Giovanni Paolo II e il segretario generale del Pcus (nella foto la prima pagine di Avvenire del 2 dicembre 1989), a distanza di oltre venti anni, mette in evidenza una caratteristica della diplomazia pontificia: l’impegno a stringere rapporti bilaterali o multilaterali con gli Stati attraverso gli incontri personali del Papa con i vari capi di Stato e di Governo e tramite i contatti instaurati dalla Segreteria di Stato vaticana.

Un’attività che avviene durante le visite pastorali del pontefice alle Chiese locali o nel corso delle visite ufficiali o informali dei capi di Stato in Vaticano. Se da un lato, infatti, le relazioni bilaterali della Santa Sede hanno l’obiettivo di curare i rapporti tra Chiesa e Stati e di cooperare con i rappresentati degli altri Stati nella risoluzione dei conflitti e per l’affermazione dei diritti umani, dall’altro le relazioni multilaterali – in particolare quelle che si instaurano all’interno degli organismi internazionali a cui aderisce la Santa Sede – sono occasioni utili per nunzi, osservatori, legati e rappresentanti diplomatici pontifici per «far sentire la voce di chi non ha voce» in sedi e contesti istituzionali su temi come la povertà e lo sviluppo dei Paesi del sud del mondo, la malnutrizione, la salvaguardia del creato, la pace e il rispetto per la dignità dell’uomo.

Vincenzo Grienti

 

1 Dicembre 2017